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STORIE... per AVOLA

AGGIORNAMENTO PAGINA A
Mercoledì 27-10-2021 17:50


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BertinottiAvola 2 dicembre 1968, di Liliana Calabrese
Canzone cantata da Liliana Calabrese all'incontro promosso dalla Consulta Giovanile di Avola e organizzato dalla Libreria Editrice Urso di Avola e dall'Anpi, dove poeti, musicisti, testimoni dei fatti e sindacalisti si sono incontrati al Centro Giovanile di Avola in Via Mattarella a quarantasei anni da quell'avvenimento importante in Italia per tutto il movimento operaio. La canzone fa riferimento ai fatti di Avola (SR) del 2 dicembre 1968, dove durante una manifestazione di braccianti in sciopero per il rinnovo del contratto, la polizia sparò contro i manifestanti facendo due morti e numerosi feriti.

Due dicembre, giorno bianco
per la gente in ufficio
e che si vede passare
solite carte e fatture.
Due dicembre, giorno bianco
per mia madre in cucina,
che cantando prepara
il pranzo e la cena.

Due dicembre, giorno nero
per la gente che è stanca
e che scende nelle strade
perché vuole un po’ di pane.
Due dicembre, giorno nero,
da finire al cimitero,
da finirci, assassinati
da quei servi mal pagati.

Ma si sa, si sa che,
ma si sa, si sa che
loro vengon coi fucili,
loro vengono coi mitra,
loro vengono in cento,
mai che siano da soli.
Loro vengon coi fucili,
loro vengono coi mitra,
loro vengono in cento,
mai che siano da soli.

Due dicembre, giorno bianco
per mio padre, che è sereno:
oramai è assicurato,
ogni mese paga lo Stato.
Due dicembre, giorno bianco
per la gente che è tranquilla
e che approva con la testa
quello che scrive la stampa.

Due dicembre, giorno nero
per chi cerca una risposta,
per chi agisce e più non parla
e si difende come può.
Due dicembre, giorno nero
per chi chiede un aumento
e la risposta è solo una,
la risposta è di violenza.

Due dicembre, giorno nero,
da finire al cimitero,
da finirci, assassinati
da quei servi mal pagati.

Ma si sa, si sa che,
ma si sa, si sa che
loro vengon coi fucili,
loro vengono coi mitra,
loro vengono in cento,
mai che siano da soli.
Loro vengon coi fucili,
loro vengono coi mitra,
loro vengono in cento,
mai che siano da soli.

 

 

locandina

 

Maruzza, al Cine – Teatro Odeon di Avola

di Maria Barone

  Maria Barone

...attaccamento alla tradizione e attualizzazione dei temi cantati e recitati...

 

LilianaIn prima nazionale assoluta al Cine – Teatro Odeon di Avola il 14 e 15 maggio 2014 ore 20,45 è stata messa in scena l'opera poetica di Domenico Giansiracusa: Maruzza, adattata da Giovanni Catalano.

La parte narrativa è stata affidata a Liliana Calabrese che ha tenuto il filo rosso della vicenda e che, con la sua notevole capacità narrativa, ha rappresentato con sobria eleganza e delicata raffinatezza l'elemento di raccordo e di armonia delle parti recitate e cantate.

In particolare la canzone da lei arrangiata e cantata ha determinato unità narrativa al racconto che, in maniera affabulante, ha fatto conoscere al grande pubblico l'episodio di Maruzza.

L'alternarsi dei momenti recitativi, di quelli lirici, di quelli cantati e la partecipazione straordinaria del gruppo folkloristico Val di Noto di Avola hanno realizzato uno spettacolo ecclettico e variegato.

Infatti la vicenda è stata inserita nella tradizione popolare accentuata dalle cantilene dei venditori ambulanti, dai costumi, dalla essenziale scenografia, da detti e motti siciliani.

Ne è derivata una rappresentazione scenica in cui i sentimenti, intrecciandosi, denotavano complessi stati d'animo, attaccamento alla tradizione e, nel contempo, attualizzazione dei temi cantati e recitati.

L'emotività è stata prorompente e nelle pagine del testo si avvertiva un certo lirismo espressivo ed intensa partecipazione emotiva dello scrittore Domenico Giansiracusa.

fotoLa regia e l'adattamento teatrale di Giovanni Catalano sono stati magistrali, pur nei tempi brevi di preparazione.

Tutto, pur variegato, era permeato dall'intento di rendere omogenea l'opera.

Le musiche originali, composte da Corrado Neri ed eseguite dal vivo dai musicisti, hanno contribuito, in maniera determinante, a creare una forte suggestione emotiva.

L'originalità dell'opera è evidente nella diacronia dell'episodio del ‘700 quanto mai attuale.

Induce a riflettere sul fenomeno del femminicidio che la cronaca ci ricorda essere di tragica attualità.

Il pubblico, affluito numeroso, in entrambe le serate ha manifestato notevole consenso a uno spettacolo originale, insolito, tragico e, nel contempo, altamente gradevole.

Il plauso è stato unanime a riprova che ciò che è immediato, sentito e partecipato fa scaturire diletto, affina il senso estetico e, inducendo alla riflessione, educa e nobilita l'anima con profondi risvolti emotivi ed affettivi.

VEDI ALCUNE FOTO E ASCOLTA IN SOTTOFONDO LA CANZONE MUSICATA E CANTATA DA LILIANA

Galeotto per il successo della trasposizione teatrale di "Maruzza" fu il 9 marzo del 2013...
In quel giorno la sezione di Avola dell'Anpi si occupò di violenza contro le donne nel Salone Comunale di Avola, facendo condividere quell'incontro a tante associazioni locali e aprendo la partecipazione a poeti... In quell'occasione c'era Domenico Giansiracusa, tra gli altri, che fu attento a recepire magicamente quel che Francesco Urso narrò, con i particolari di quel femminicidio ante litteram, a proposito del caso di Maruzza...
Il presente video è realizzato utilizzando foto di Corrado Bono, e come sottofondo la voce di Liliana Calabrese, con musica da lei composta, con testo di Domenico Giansiracusa.

Vedi la scena dove Maruzza apprezza le bellezze naturali di Cava Grande, col successivo colpo di scena quando viene uccisa

MARUZZA
DOPO CENTO ANNI DA QUANDO NE SCRISSE
LO STUDIOSO AVOLESE GUBERNALE
CONOSCIUTO ALLORA IN TUTTA LA SICILIA E ANCHE OLTRE
ARTISTI DIVERSAMENTE IMPEGNATI NEL TERRITORIO DI AVOLA E DINTORNI
RIPORTANO ALLA NOTORIETÀ, TEATRALMENTE
I TERMINI DI UNA LEGGENDA
di cui – ANCORA NEI TEMPI – SI PARLERÀ

La leggenda di Maruzza in:Sebastiano Burgaretta, L'opera dell'uomo a Cava Grande del Cassibile,
Libreria Editrice Urso, 1992, 8°, pp. 240, ill., € 25,00acquistaL'Opera dell'umo a Cava Grande del cassibile


Sebastiano Burgaretta dipinge il territorio del Cassibile, attraverso essenziali segni di storia e di vita: è così dal fare dei Siculi, ai tempi a noi più recenti. Al centro, l'intero bacino della Cava Grande, punteggiato da grotte (Grotta Giovanna, Grotta Perciata, Grotta del Serpente, ecc.); e, in tal sito, vari trappeti, una conceria, i tanti mulini, i depositi per le derrate (maiazzé), i fienili (pagghialora), gli edifici sacri (le cappelle campestri), le fornaci (carcara), le case, e così via.
Con mappa della riserva realizzata dal geologo Salvatore Grande.

avolaPER LA LIBERTÀ CONTRO IL NAZIFASCISMO
A proposito della commemorazione del 70° anniversario dello sbarco anglo-americano del 9-10 luglio 1943 che c'è stata il 10 luglio ad Avola da parte dell'Amministrazione comunale, sembra opportuno insistere nel segnalare che quelli sbarcavano per una guerra ingiusta voluta da Hitler e Mussolini e che, proprio perché "sbarcavano", con quell'operazione, assieme al contributo dei partigiani, liberavano (!) Avola e il resto di quel territorio chiamato "Italia" dalla dittatura fascista... Se non viene chiarito che la democrazia e la libertà vengono da quei primi passi non si spiega che quel che siamo dipende da tutto questo. Un conto è, allora, parlare di resistenza militare allo sbarco, un altro conto è dire che quella resistenza eroica (!) non fu funzionale allo Stato che poi abbiamo costruito... Ma bisogna dirlo!
E così fu in questa storia:
"Giuseppe Borbone, di Raddusa (Ct), fu il fante italiano che bloccò per almeno due ore, da solo, la brigata britannica che saliva dall'attuale viale ''Corrado Santuccio'' (ex Viale Lido) di Avola. Era assegnato al fortino posto proprio all'inizio del Corso Vitt. Emanuele (salendo verso la piazza centrale). Morì sul tetto di quel caposaldo, abbracciando la sua mitragliatrice Fiat vecchio tipo, il 10 luglio 1943".

torsoli

A GIUGNO AD AVOLA SI GIOCAVA COSÌ

[…]Al tempo delle albicocche, tutti i ragazzi facevamo raccolta dei torsoli, che costituivano poi il peculio esclusivo dei più diseredati. Costretti a combattere per un tozzo di pane, difficilmente essi disponevano di contante (si fa per dire) per il giuoco. L’unità di misura dei noccioli, che nel gergo erano chiamati impropriamente “gli ossi”, era il “castello”, cioè un insieme di quattro ossi, per cui chi puntava la posta non diceva “otto ossi”, ma due castelli di ossi, e, se non era un multiplo, due castelli e uno invece di nove ossi. Il fortunato, che possedeva il contante, puntava un soldo (cinque centesimi), due soldi (dieci centesimi), una nichel (venti centesimi), mezza lira (cinquanta centesimi), in proporzione ai castelli di ossi che scommetteva il competitore. Difficilmente sul piano di giuoco, comunemente a terra, comparivano pezzi interi da una lira. Se necessario, si ricorreva anche all’acquisto di ossi con denaro, per cui ogni giorno la quotazione di essi variava secondo la domanda e l’offerta, realizzando una specie di cambio della strada. Dopo anni, qualcosa di simile mi capitò di osservare nel plesso Vittorio Veneto di Lentini tra i miei ragazzi di scuola elementare, i quali, prima di entrare in classe, negoziavano tra loro i fumetti di seconda mano con spiccioli oramai fuori circolazione, acquistati al cambio della strada…

Italico L. Troja, in «La mia “prima etade”»,
2010, 8°, pagine 128, illustrato, € 15,00 acquista
Libreria Editrice Urso, Collana “MNEME” n. 22
ISBN 978-88-96071-23-6

(FotoCiccioUrso2013)

INTERVISTA
ALLA SIGNORA GIOVANNA MARIA RANIERI – TENTI GIUSTINIANI
VEDOVA DELL’EX PODESTÀ DI AVOLA CORRADO SANTUCCIO

* * *

fotoLa mattina del 26 gennaio dell’anno 1935 nella città di Roma presso la chiesa di Cristo Re Monsignor Vizzini, allora Vescovo di Noto, celebravano le nozze di Giovanna Maria Ranieri–Tenti Giustiniani, discendente del doge Alvise Giustiniani, e di Corrado Santuccio, allora podestà di Avola. La vedova Santuccio si definiva “una povera donna che nella sua vita aveva adempiuto ai suoi doveri nei confronti della sua famiglia”, ma il suo nome ci ricorda il sangue blu che scorreva all’interno delle sue vene, e le sue azioni esprimono chiaramente l’intelligenza e la forza d’animo di cui era catterizzata. Chi scrive vuole proporre ai lettori della rivista un’intervista a lui rilasciata nel lontano 13 Settembre 1999, data in cui andò a trovare la signora Giovanna nella villetta di San Corrado Fuori le Mura, dove abitava da qualche anno insieme al figlio Gaspare, alla nuora e ai due nipoti Corrado e Giovanna.

Signora, la sua modestia finora non le ha permesso di ricordare le sue origini nobili, vuole rivelarle ora ai lettori del settimanale?

“Penso che oggi la nobiltà non susciti molto interesse nei lettori, ma a chiunque fosse interessato posso tentare di soddisfare la curiosità. Mio papà era Ranieri-tenti, apparteneva ad una buona famiglia di Napoli, ma non era nobile. Egli discende da Antonio Ranieri, un mio prozio che fu amico del sommo poeta Giacomo Leopardi. Mia mamma, invece, era Paolina Giustiniani Recanati ed aveva origini veneziane, da lei ho appreso che la famiglia Giustiniani ha goduto della presenza del Patriarca di Venezia Lorenzo Giustiniani, il quale successivamente è divenuto santo, di un doge e di diversi consiglieri appartenenti al consiglio dei dieci. A Venezia si possono ancora apprezzare due palazzi Giustiniani; uno più grande si trova nei pressi del Canal Grande e uno più piccolo, in cui mi recavo quando in esso alloggiavano mia zia e mio cugino; oggi probabilmente quel palazzo è diventato un museo, io ricordo ancora un crocifisso realizzato da un famoso intagliatore di legno, i quadri di valore attaccati alle pareti del salone e delle varie camere del palazzo, la numerosa argenteria, e soprattutto il servizio di pregiata porcellana sistemata in una vetrinetta nella sala da pranzo e ancora le posate in oro per sessanta persone abbinate al servizio di porcellana”.

Nell’anno 1935, dopo tre mesi di fidanzamento, lei convolava a nozze con l’avvocato commentatore Corrado Santuccio, vuole raccontare qualcosa relativa al suo matrimonio?

“Ho conosciuto la buon’anima di mio marito grazie ad una mia cugina che ha avuto il piacere di presentarmi a lui. In quel tempo mio marito frequentava un suo amico il quale conosceva la nuora della sorella di mio papà, la ragazza fece in modo che ci incontrassimo e dopo tre mesi di fidanzamento in data 26 Gennaio 1935, a Roma nella chiesa di Cristo Re Monsignor Vizzini, allora Vescovo di Noto, in presenza di quattro testimoni celebrò il mio matrimonio, il quale, a causa di un tumore al cervello che uccise mio marito, purtroppo è durato soltanto tredici anni. I testimoni degli sposi furono quattro. Il Conte Eugenio Millo, figlio del Conte Enrico Millo di Casalgiate, il famoso
ammiraglio che si distinse sui Dardanelli, e di una sorella di papà, e il Marchese Gennaro Pagano di Melito, autore, insieme a Rizzo e al papà di Galeazzo Ciano, della presa di Buccari effettuata abilmente dai MASS, nonché cognato di papà, testimoniarono per me. Per quanto riguarda mio marito testimoniarono Ruggero Romano, il quale, poveretto, è stato fucilato ed esposto al piazzale Loreto di Milano, insieme a Mussolini, e un’altra brava persona, il Principe Michele Bonanno di Linguaglossa, un amico di mio marito e della moglie di mio cugino Eugenio Millo, che spesso, durante le varie feste che venivano organizzate ad Avola, ci veniva a trovare. Questi ricordo che sostituì un altro amico di mio marito, Corrado Lutri, il quale per un incidente non poté testimoniare alle nozze. Ricordo, inoltre, che in quell’occasione ricevetti in regalo dal poeta Alessandro Caia una pergamena tutta miniata con al centro una poesia scritta di suo pugno”.

Chi era Corrado Santuccio? Quali erano le sue aspirazioni?

“Mio marito era un uomo intelligente che durante la sua vita ha cercato di fare qualcosa di buono. Egli apprezzava la lingua francese. Dopo il conseguimento della laurea in giurisprudenza, infatti si recò a Tours allo scopo di approfondire la lingua straniera, dove conseguì persino il baccalaureato. Egli tentò la carriera diplomatica, ma allora per avere questa possibilità bisognava essere di nobili origini, quindi mio marito, nonostante il titolo nobiliare che suo nonno paterno, insieme a tutti i suoi beni, ereditò dal Barone Giuseppe Di Maria, non poté realizzare questo suo desiderio. Dovendo per forza di cose escludere la possibilità di una carriera diplomatica, decise di intraprendere la professione di avvocato, la quale del resto era la professione del suo papà. Mio suocero, Gaspare Santuccio, infatti, fu un avvocato civilista, mio marito, invece, scelse il ramo penale. Mi ricordo che mio marito amava viaggiare e aveva anche gli hobby della lettura e della pittura. Egli amava leggere soprattutto la letteratura francese e dipinse alcuni quadri molto carini”.

Chi più degli altri ha goduto dell’amicizia del podestà?

“Io penso che tante persone hanno apprezzato l’amicizia di mio marito, il quale sono certa che ha goduto anche della loro; ricordo il sentimento di amicizia nato tra mio marito e il giudice Libero Italico Troja. Allora il giudice era un giovane di circa quindici anni che gradiva chiacchierare e giocare a carte con mio marito al circolo Matteotti, la cui sede allora si trovava di fronte alla cattedrale dedicata a San Nicolò. Spesso il giudice veniva anche a casa e continuò a farlo anche quando la malattia che fu la causa della morte di mio marito si aggravò. Ricordo che la notte dello sbarco degli alleati in Sicilia, il Giudice si trovava a casa mia quando si udì l’allarme che avvertiva che la città veniva bombardata. Io, preoccupata, insistetti perché restasse a casa mia, e forse la mia insistenza gli salvò la vita, in quanto dopo si apprese che la casa del Giudice era stata bombardata e molti suoi cari perdettero la vita. Un altro amico di mio marito fu Antonino D’Agata, il quale, quando fu costretto a fuggire in Svizzera per non avere dato la sua adesione al fascismo, si rivolse a mio marito affinché lo aiutasse a ritornare ad Avola intercedendo presso il Duce a suo favore. Sulla falsariga di una lettera fatta pervenire in Svizzera da mio marito, D’Agata scrisse la sua richiesta, la quale tramite Ruggero Romano giunse a Mussolini, il quale permise ad Antonino D’Agata di ritornare in Italia. D’Agata e mio marito si incontrarono a Roma e insieme tornarono ad Avola. I due amici morirono entrambi nell’anno 1947, ma D’Agata morì qualche mese prima, quindi mio marito ebbe anche il piacere di rivolgergli l’ultimo saluto al municipio dove era esposta la salma. Spesso mio marito mi raccontava che frequentava un signore di nome Buscemi, con cui faceva delle piacevoli passeggiate affrontando gli argomenti più vari”.

Quale fu il motivo che spinse il federale di Siracusa a ritirare la tessera fascista a suo marito?

“Mio marito era fascista, e tra la carica di Sindaco e quella di Podestà amministrò il paese di Avola circa undici anni, ma un giorno, quando l’Italia entro in guerra con l’Etiopia, al circolo Matteotti, mentre parlava di politica con alcune persone, egli si permise di dire che l’Italia purtroppo avrebbe perso la guerra, in quanto si trovava in una situazione di debolezza nei confronti delle nazioni nemiche. Il federale di Siracusa Cremisini apprese della critica espressa da mio marito, quindi propose di mandarlo al confino, ma poi, anche grazie alla difesa dell’onorevole Ruggero Romano, gli fu ritirata soltanto la tessera fascista e destituito da podestà”.

 

Il podestà Santuccio fu condotto al campo di concentramento. Perché?

“La causa fu una lettera anonima che lo accusava di essere un fascista e di approfittarsi dei beni del Comune. Dopo lo sbarco degli alleati mio marito fu richiamato per amministrare il comune di Avola, ma dopo circa venti giorni dalla nomina, mentre egli presiedeva un incontro al Comune, fu arrestato e, dopo che ebbe preso a casa i suoi effetti personali, condotto dai militari dell’AMGOT (Allied Military Governement of Territory) al campo di concentramento di Priolo. Spesso qualcuno erroneamente sostiene che mio marito si trovasse a Cassibile, ma io sono certa che questa notizia è falsa”.

Dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna. Vuole raccontare ai lettori del settimanale come lei riuscì ad ottenere il rilascio di suo marito?

“Io ero molto preoccupata per mio marito, quindi protestai presso il Maggiore Radice, comandante americano di origini italiane che in quel periodo si trovava ad Avola. Dal Maggiore appresi che l’arresto era stato effettuato dai militari dell’AMGOT, quindi mi recai a Noto dal Governatore che
si occupava delle questioni civili della Sicilia orientale, il quale mi informò che della faccenda si occupava l’amministrazione militare e mi suggerì di rivolgermi al capo dell’AMGOT a Siracusa, un americano di origini italiane che conosceva bene la nostra lingua. Grazie all’aiuto di un amico di famiglia che con la sua carrozza accompagnò a Siracusa me, mio figlio, una mia cameriera, che mi aiutava ad accudire al mio figliuolo allora piccolo, e una guardia campestre molto affezionata a mio marito, riuscì ad incontrare il capo dell’AMGOT, al quale spiegai che mio marito era stato destituito da podestà dal federale fascista di Siracusa, il quale lo voleva mandare al confino e che gli ritirò persino la tessera fascista. Era necessario accertare quanto da me espresso, quindi il capo dell’AMGOT promise che avrebbe consultato gli archivi e mi invitò a tornare il giorno dopo. Ricordo che l’amico che gentilmente ci condusse a Siracusa lo stesso giorno ritornò ad Avola con la sua carrozza, e tutti gli altri ci fermammo in un albergo di terz’ordine, molto sporco. Intanto bisognava preoccuparsi di trovare del cibo illegalmente, in quanto noi eravamo in possesso di una tessera con la quale era possibile ritirare il cibo soltanto ad Avola. Il giorno dopo appresi dal capo dell’AMGOT che mio marito sarebbe stato scarcerato quella sera stessa. A quel punto la nostra preoccupazione fu quella di tornare ad Avola, quindi durante la notte ci recammo alla stazione di Siracusa e lì apprendemmo di un carro bestiame che l’indomani mattina alle otto sarebbe partito da Siracusa e ci avrebbe potuto condurre ad Avola. Salimmo su quel treno pieno di paglia e di sporcizia, il quale anziché ad Avola ci condusse a Noto. Quando finalmente arrivammo a casa incontrammo mio marito che nel frattempo era già arrivato, il quale, anche se non gli era stato restituito l’orologio che aveva depositato precedentemente, aveva ricevuto le scuse per quanto ingiustamente aveva subito”.

Perché i cittadini avolesi dovrebbero ricordare il podestà Santuccio?

“Gli operai del tempo soprattutto perché mio marito, avvalendosi dell’aiuto dell’architetto Gaetano Vinci e del modellatore Antonino Mangiagli, dava loro lavoro quando era difficile mantenere le numerose famiglie. Forse tutti i cittadini avolesi dovrebbero ricordare mio marito per le numerose opere pubbliche realizzate ad Avola grazie a lui. Vicino alla stazione di Avola realizzò, una dirimpetto all’altro, la villa comunale e il Parco delle Rimembranze, piantando in esso tanti alberi quanti furono i morti della prima guerra mondiale e attaccando su ogni albero una piccola targa che ricordava il militare deceduto; in piazza Vittorio Veneto fece costruire, anche questi una di fronte all’altro, la fontana con i tre leoni attorno e il monumento dedicato ai caduti nella guerra del 1915/18, con una figura di donna sdraiata che rappresenta l’Italia. Ricordo che, per quanto riguarda i leoni della fontana e la scultura del monumento commemorativo, mio marito si rivolse al modellatore Mangiagli. A parte la pavimentazione della piazza Umberto I e delle strade, la realizzazione del gabinetto e l’anticamera dell’ufficio del Sindaco e l’illuminazione del vecchio lido, opere interessanti furono anche il viale Lido e la rotonda sul mare. Per quanto concerne il viale Lido si recò sul posto con gli operai, in quanto il proprietario del terreno non voleva cedere la striscia di terra necessaria per realizzare il viale e addirittura minacciava di sparare nel caso si fossero iniziati i lavori. La realizzazione della rotonda sul mare ha richiesto un lavoro doppio, in quanto dopo che furono gettate le colate di cemento una grande mareggiata distrusse il lavoro che era stato fatto”.

 

AlessandroALESSANDRO BUSCEMI

cipressoUn macello dopo l'altro...
LA FINE DEGLI ULTIMI CIPRESSI

ovvero, potrebbe andare anche peggio...

All'uscita di Avola, sulla provinciale per Calabernardo-Lido di Noto sta per essere definitivamente eliminata la filiera di cipressi, ultima, sopravvissuta a quell'altra che accoglieva il visitatore all'ingresso di Avola, sulla statale venendo da Siracusa.
A differenza di quell'altro caso precedente, qui la natura il 13 dicembre di questo 2005 ha fatto la sua prima parte e l'uomo, adesso, non perderà tempo ad eliminare quanto sopravvissuto al disastro.
Un macello dopo l'altro (e tutti inutili, in termini di produttività..., anzi tutti costosi per ogni comunità, ovvero soldi buttati in discarica), un disastro passato e tanti altri annunciati.
Il tutto in linea con un destino che indica sempre il degrado attuale e quello futuro, sempre più metafora del degrado umano di gran parte di questa, e di altre, città del Sud del Sud.
L'unica consolazione sarebbe che, visto come vanno le cose, potrebbe andare anche peggio.

Francesco Urso
15 dicembre 2005

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Nota Bene: 4,9MB
©Peppe Caruso (cocula)

Salvatore BlancoSi invia la foto di un V/s compaesano, Salvatore Blanco, lavora alla stazione di Milano Centrale, è un ferroviere che tanto si distingue nel mondo del lavoro e, attraverso la cultura della sua terra natia porta avanti idee di progresso e di integrazione. Nell’augurarvi buon lavoro, desidero congratularmi per l’ottimo investimento che state facendo sui giovani. Auguri
Pasquale Denaro

Una medaglia fra le dita
Franz Sangregorio
In ricordo del nonno Franz

di Franco Sangregorio

Un giorno, chiamato ad aiutare i miei genitori a mettere in ordine una stanza non abitualmente usata, rovistando tra cianfrusaglie e vecchie foto di famiglia ormai consumate dal tempo, mi ritrovai in mano una croce di guerra d’argento relativa alla prima grande guerra.

Mia madre accortasi, continuando il suo da fare e quasi ignorando la cosa, mi affermò che era appartenuta al mio nonno paterno.
In verità mi dispiacque molto questa sua indifferenza, a prescindere dal fatto che un oggetto così importante, almeno in questo modo credo di averlo sempre considerato, non si trova tanto facilmente.
Ma rimasto ammirato e inorgoglito da quella medaglia, cominciai a pensare a quale evento potesse essere stato attribuito tale importante riconoscimento.
Non so perché, ma subito mi venne alla mente una storia triste raccontatami proprio dal nonno.
Un omone di un metro e ottanta, robusto e forte quanto basta per incutere un minimo di soggezione a chiunque gli fosse stato di fronte, si poneva agli altri, come era suo solito fare, seduto con la spalliera della sedia appoggiata allo stomaco.
Ricordo un particolare di lui e di quella sua storia.
Nonostante fosse un po’ burbero, non raccontava come fanno in genere la maggior parte degli uomini un po’ avanti con gli anni, quella esperienza passata, con un pizzico di spavalderia, ma stranamente con tono malinconico.
Niente e nessuna parola detta con orgoglio che facesse riferimento alla fierezza di chi ha combattuto per la sua terra.
"A terra è ri tutti, diceva, e i finaiti si fanu l’ommini pì farisi cuerri scunciuruti (La terra è di tutti e i confini se li fanno gli uomini per farsi stupide guerre).
Durante un assalto, uno dei tanti, ripetuti decine di volte in uno spazio di terra lungo non più di duecento metri, molti dei miei compagni caddero falciati dal fuoco della mitraglia.
Io ero il tiratore scelto e quindi dovevo rimanere assieme agli altri cecchini in trincea per coprire l’avanzata e l’eventuale ritirata degli altri.
Una misera possibilità di vivere più a lungo mentre tutti gli altri morivano".
E di questo pensiero si era convinto fermamente.
"Fu l’ultimo assalto, poi il freddo e la neve.
Non più il suono audace della mitraglia ma quello di colpi solitari, come se la morte ricordasse sempre la sua presenza.
Ci fù ‘nsilenziu - ripeteva - si sintiinu parrari sulu li Strechi.
In questo modo tutti i Siciliani al fronte chiamavano gli Austriaci.
Mentre imbruniva, sentimmo lamentare. Era uno dei nostri.
Disorientati ci guardammo tutti con veloci sguardi d’intesa per decidere chi andare a prenderlo.
C’era ancora un po’ di luce e troppa era la paura di essere colpiti dai cecchini.
Chiusi gli occhi, un pensiero veloce a mia madre e d’istinto uscii senza arma allo scoperto.
Correvo avanti non sapendo in che direzione andare e sperando che quella voce lamentasse ancora la sua posizione.
Cominciarono a fischiare i colpi e subito capii che forse era vicina la fine.
Disperato, trovai per caso, correndo in mezzo ai corpi inermi dei compagni caduti, quello ferito.
Lo misi sulle mie spalle e cominciai a retrocedere".
Con gli occhi che non riuscivano a contenere un grande imbarazzo e quasi impaurito di essere giudicato, mi disse: "Mu misi ‘ncoddu, e ‘du mischinu ca ciccaia aiutu, ammentri ca curria, m’arriparaia i spaddi ‘ra motti.” (Me lo misi addosso, e quel povero uomo bisognoso d’aiuto, mentre correvo, mi copriva le spalle da morte sicura).
Riuscimmo a salvarci.
I compagni fecero il resto per soccorrere l’altro.
Stremato dalla stanchezza e dal terrore, non dissi mai a nessuno quello che provai e in silenzio rimasi per lungo tempo a riflettere su quello che avevo fatto e in che modo lo avevo fatto".
Ogni volta che mio nonno mi raccontava questa storia, non dimenticava mai di sottolineare sempre con imbarazzante sincerità, quella sua fragilità che forse lo ha accompagnato per tutta la vita.
Venni a sapere da mio padre che in quell’azione aveva salvato un ufficiale maggiore.
E di questo, non ne aveva mai parlato e tenuto conto.
Un atto di eroismo vissuto sempre con amarezza, solo perché umana era stata la sua paura di morire.
Del resto, se tutto ciò non fosse stato nobile, oggi non avrei la sua medaglia fra le dita.

L'umanità è bella e assurda, l'uomo è grande e piccolo... Grazie per aver ridotto la "Lontananza" e il "vuoto" che continuano a fare da altalena dentro di me nonostante abbia scelto di affrontarli andando via da Avola.
Da quest'estate vivo a Milano. La ricerca di una casa, di un lavoro, i tentativi di far conciliare tutto con gli impegni universitarari (sto frequentando la siss) hanno in qualche modo stordito il mio "sradicamento" (chiamiamolo sociale) per sostituirlo con un altro tipo di alienazione riconducibile all'eccessivo attivismo. Prima avevo troppo tempo per pensare finendo quasi con il sentirmi satura di concetti, certezze effimere sull'accidiosa passività da vincere con la ricerca pratica di una svolta, di una via di fuga.
Con una laurea in filosofia non si riesce a concludere praticamente un gran ché e a ben guardare neanche ideologicamente.
Tutto è stato scritto, detto, ridetto e tutto si ripete con logiche più sottili date dalla consapevolezza che tutto è stato "denunciato" e quindi il vero quesito rimane il classico "come mai?" e lì, giù a buttare risposte anch'esse classiche, obsolete: l'umanità è bella e assurda, l'uomo è grande e piccolo, per ammazzare la noia fa tre passi avanti e dieci indietro, ecc.
Il viandante non conosce mai la sua meta ma intanto va e nel suo andare la intravede... Stavo lì, agonizzante e guardavo alla mia vita come ad uno specchio che non sa contenere altro se non i riflessi di quel che gli sta innanzi... gaiezza ed aridità.
Avevo, certo, riconosciuto l'inganno e avevo iniziato a buttare via alcune delle classiche "maschere". Percorso non originale dell'idealista che vede frantumare le sue utopie e inizia a diventare realisticamente pessimista ma con l'ironia del siculo, su cui Pirandello ha detto tutto.
Credo di aver sperimentato fino in fondo il dramma dei siciliani: appena nati ci accoglie un quadro bucolico, crescendo si accorgiamo che la morale della favola va cercata altrove. Oh "Favola"!!! ...se si toglie la F diventa Avola...
terra mia...
culla d'infanzia...
a cui, con rabbia, ho strappato la A! la A di Amore, la A di Apatia, la A di Ancora non ti odio abbastanza...
per lasciare solo... "Vola".
Ed eccomi qua...
Ritornerò? ma! oggi per la prima volta credo di aver sentito la sensazione lacerante che non tornerò più indietro.... fino a stasera non sono riuscita a trovare il tempo per capire se era davvero questa la via giusta da seguire....vagamente mi consola l'idea che il viandante non conosce mai la sua meta ma intanto va e nel suo andare la intravede...
dicevo, fino a stasera.


Lavinia

Cari amici, Lavinia ha scritto un bellissimo pezzo, bellissimo, ma non lo ha concluso: A-vola....... la: ecco, là , là dove sei, dove sei volata, dove ti porta (il cuore? non è detto, anche qualcosa d'altro) ..., là vi è la sua felicità: è il gioire dello "hic et nunc" dei latini, è il "poco ma sempre" di eremiti ed anacoreti sparsi in posti orribili a fare una vita da bestie, il duro cammino quotidiano (è duro ovunque, qui o lì, per un verso o per l'altro) per arrivare a Santiago (nel Cammino i piedi, a volte, non sono contenti ma, alla fine del giorno... e del Cammino... ehh... e nel frattempo quanti pensieri, quanti incontri inaspettati. ma graditi....), è l'"age quod agis" di S. Ignazio di Loyola, è il giorno "quo-ti-dia-no" -- umido e nebbioso, spesso molto rumoroso (a frequenze molto diverse da quelle dei rumori avolesi!) ed anche, con rispetto parlando, puzzolente di gas di scarico, il normale habitat milanese insomma, dove aspirare una sigaretta è un sorso di salute, probabilmente -- la giornata fatta di frenesia e furore esteriori ma dove l'anonimato e la odiosa fretta tritasassi ti obbliga a pensare in fretta, a realizzarti in qualche modo rapido, ad aiutare gli altri d'impulso... sì, aiutare se stessi ma anche i milanesi. I milanesi amano la vita (chi non la ama davvero non viene a Milano, che se ne renda conto o no), ma hanno molto bisogno di filosofia: non gliela possono dare se non coloro che amano la filosofia, l'amore per la sapienza, per la conoscenza delle persone e delle cose, la realtà! Ed a Milano, dove non fa mai veramente freddo, c'è tuttavia molto vuoto, freddo vuoto interiore da riempire. Insomma, "La"- vinia, .. "là" siamo noi stessi, là dove siamo, là dove viviamo, là dove il sole sorge comunque, liberi o prigionieri, soli od in compagnia. Chissà: da A-vo-"la" si passerà -senza soluzione di continuità, il "-la-" garantisce- a "La"...(vinia): eccoci! la gioia di essere te stessa! E non resterà solo un gioco di parole ma un meraviglioso "gioco" che si chiama .... una piena felicità, il senso dato alla propria vita, una vita che riesce ad essere felice "minuto per minuto", ogni giorno. Saluti da Giancarlo, praticamente milanese

Il momento giusto per la fioritura dei mandorli...

Conosci tu il paese dove fioriscono i cedri?
Fiammeggiano nel cupo fogliame le arance d'oro,
un dolce vento spira dal cielo azzurro,
placido il mirto ed alto sta l'alloro.
lo conosci?
Laggiù! Laggiù,
o amato, vorrei recarmi con te!

Così Goethe, in Wilhelm Meister, fa parlare Mignon, che, rapita in Italia da giocolieri vagabondi, viene portata in Germania e con questi versi esprime il suo desiderio del Sud.
Più tardi Heine dirà: "Tutta l'Italia vi è dipinta, ma coi sospirosi colori del desiderio".

Sono già spuntati i fiori nei mandorli di quest'angolo sud-est della Sicilia, in questo nostro giardino innevato di petali bianchi, da cui veicoliamo questo leggero discorso che ci vede assieme a sognare, costruire e immaginare un possibile cammino condiviso.

in Data: 7 Feb 2005 da Staff Avolesi.it ci è stata girata, per dar noi una risposta, la seguente lettera: desideravo sapere se è il momento giusto per la fioritura dei mandorli. Mi è sempre stato descritto come un evento indimenticabile da una cara amica, tale Rosaria Bufalino. originaria della zona . Ora che mia moglie ed io siamo da pochi giorni in pensione, verremmo da Milano apposta. Sinceramente, vale un viaggio tanto lungo? Fino a quando dura? Grazie per la risposta
Giovanni

Con piacere rispondiamo alla lettera che ci arriva e ci piace ricordare subito "Paisi miu", poesia dell'avolese Sebastiano Andolina Il nostro poeta, ad un certo punto, nel parlar con incanto del suo-nostro paese, parla anche dell'effetto dei fiori di mandorlo.

PAISI MIU


Lu suli ca ti cerca a la matina,
paisi amatu, disidiratu,
ti trova ‘ntra li ciuri e li iardina,
e s’addimmura e s’i innammura
ri s’angulu ri terra furtunatu,
unni l’apuzza d’oru lu meli fa.
Paisi miu, vasatu di lu mari,
quantu ti vogghiu beni Diu sulu u sa!
Mi po’ la vita macari alluntanari,
ma lu me cori resta ccu tia cca!
Ciuriddi bianchi di li minnuliti,
a cu vi viri u cori riri,
picchì frivaru aprili lu faciti,
è primavera ‘nti sta ciurera,
‘ncantatu resta e mai si nni vò gghiri,
comu se fussi natu ‘nti sta città.

Sebastiano Andolina

PAESE MIO
(nella traduzione di Francesco Urso)


Il sole che ti cerca ogni mattina,
paese amato, desiderato,
ti trova in mezzo ai fiori e ai giardini,
e si intrattiene piacevolmente e s’innamora
di quest’angolo di terra fortunata,
dove fa il miele la graziosa ape d’oro.
Paese mio, baciato dal mare,
Dio solamente sa quanto io ti voglia bene!
La vita potrebbe anche portarmi lontano,
ma il mio cuore resta sempre con te qua!
Fiorellini bianchi dei mandorleti,
il cuore sorride a chi vi vede,
perché febbraio trasformate in aprile,
è primavera in tutto questo sbocciare di fiori,
e resta incantato e mai se ne vuole andare,
come se fosse nato in questa città.

Sebastiano Andolina

 

mandorloLa poesia fu musicata da Giuseppe Gaetano Alia (1903-1999), indimenticato maestro elementare e instancabile istruttore di musica di tante giovani generazioni; attualmente è cantata (accompagnandosi con la chitarra) da Liliana Calabrese in tutte le occasioni in cui, in quest’angolo di Sicilia, da parte della Libreria Editrice Urso e dall’Associazione “Avola in laboratorio” si voglia rendere omaggio all’appartenenza ad una comunità.

La poesia intende far conoscere a tutto il mondo la bellezza del proprio luogo natio (in questo caso il riferimento è ad Avola, ma il nome della città non viene citato, limitandosi il poeta a parlare del prorio “paese” (che proprio per questo è il “paese” di ognuno di voi), esaltandolo con vezzegiativi intraducibili nella lingua italiana ( tipo “apuzza”, “ciuriddi”, “ciurera”, ecc.).

La città in questione si trova in riva al mare, in territorio pianeggiante caratterizzato da larghe estensioni di mandorleti e agrumeti (detti da queste parti “giardini”) e da montagne contrapposte al mare, note già anche a Virgilio per lo speciale miele ibleo, che qui si produceva (ibleo per il nome della dea a cui queste montagne erano sacre , la dea Ibla). La poesia risulta essere molto apprezzata anche da chi non è nato in queste contrade.

Come si fa a non andaree adesso dove si desidera andare, spinti da un così colorito desiderio? ci viene da dire...
Il fenomeno della fioritura durerà un po' ancora (tutto il mese, forse, salvo vento, gelo e cattiva stagione).

Sebastiano Basile, webmaster di Avolesi.it, ha dichiarato, una volta, che le cose vanno fatte quando si vuole farle...; dopo, anche se si diventasse molto ricchi, non si potrà mai più tornare indietro nel tempo a vedere i fiori di quel febbraio del 2005, lontano nel tempo e nel ricordo.
Le occasioni non tornano, voleva dirci... E veva ragione, perché gli unici viaggi che si possono fare concretamente sono quelli che vanno fatti nel presente.
Dei sogni ci occuperemo un'altra volta.

Francesco Urso

Carlos ritrova antiche radici e nuovi amici
CarlosCarlos Artale, partito da Buenos Aires alla ricerca delle proprie radici circa un anno e mezzo fa, trovando l'origine della propria stirpe in quella via del Collegio, ora via San Francesco d'Assisi, dove abitava il nonno di cui conserva un ricordo nitido, è ad Avola con la moglie e i suoi tre figli.
A Melisa e a Celeste, rispettivamente di ventuno e diciannove anni, ma soprattutto al piccolo Mauricio, di appena nove, tenta di far comprendere l'immensa emozione che ha provato quando, grazie all'aiuto di Francesco Urso, titolare della omonima libreria del corso, e al professore Sebastiano Burgaretta, è riuscito a percorrere a ritroso la storia della sua famiglia.
«Sviluppare tutta la linea per arrivare ai miei antenati è stato un sogno che si è avverato in un periodo particolare della mia vita, quando ormai avevo maturato l'idea di andare via dall'Argentina per ricongiungermi con la mia terra» spiega Carlos sforzandosi di trovare le parole adatte ad esprimere l'emozione che provò quando, in seguito all'appello lanciato via internet e raccolto da Sebastiano Basile, ideatore del sito Avolesi.it, ricevette, sempre via e-mail, un certificato storico della propria famiglia.
Francesco Urso, ricordandosi che la via del Collegio, come testimoniano gli scritti dell'epoca, era quella che costeggiava il Sodaro, istituto dove veniva impartita l'educazione alle fanciulle, grazie ai suggerimenti dello studioso Sebastiano Burgaretta, che rammentava un episodio particolare connesso ad una partenza, alla volta dell'Argentina, di un ramo della famiglia Artale, riesce, con l'ausilio dell'ufficiale dell'anagrafe, a ricostruire l'albero genealogico. Una foto che ha messo fine ad anni di ricerche, decenni di interrogativi.
«Ero in Spagna - racconta Carlos - quando ricevetti quel documento. Non riuscivo a leggerlo tutto per l'emozione, chiesi a mia moglie di verificarne la traduzione» rievoca Carlos.
«L'unica vera conferma, però, arriva qualche tempo dopo da Pino Artale, che abita in Friuli, a cui si rivolge Francesco Urso, messo sulle sue tracce da Sebastiano Burgaretta. «Rivedo la foto del nonno e la nonna che li ritraeva con gli abiti della festa, in una delle classiche pose d'epoca. Era stata spedita ai parenti in Sicilia e per mia fortuna la sorella di Giuseppe la conservava ancora. Questo era l'unico documento che avevamo in comune e che ci ha permesso di unire tutti gli anelli della catena».
Carlos Artale è ad Avola in vacanza, attualmente vive a Gemona del Friuli. Non ha dimenticato chi è riuscito a dare un senso alla sua ricerca ed è per questo che ha voluto riabbracciare chi ha fatto qualcosa di semplice, ma al tempo stesso grandioso. «Le radici, ci riportano all'albero e l'albero è la vita» ripete con disinvoltura il piccolo Mauricio mentre trova fra i ripiani stracolmi il libro che voleva. «Devi venire ad Avola per un libro, a Gemona non ci sono librerie?» scherza Urso.
Gabriella Tiralongo

10 luglio 1943. Lo sbarco ad Avola
avolaIl 10 luglio 1943, verso le ore tre, i primi soldati anglo-americani sbarcavano in diverse spiagge della Sicilia sud-orientale, dando inizio all’operazione “Husky” che, dopo trentotto giorni, si sarebbe conclusa con l’occupazione dell’isola.
La Sicilia era difesa dalla Sesta Armata italiana e da forti contingenti tedeschi. La Settima Armata statunitense sbarcò tra Licata e Scoglitti e l’Ottava Armata britannica tra Marza (ad ovest di Capo Passero) e Capo Ognina. Lo sbarco fu preceduto, durante la notte tra il 9 e il 10, prima da bombardamenti aereo-navali e dopo da diversi lanci di paracadutisti nella zona americana e di alianti in quella inglese. Avola, che era difesa dal 374° battaglione comandato dal maggiore Fontemaggi, verso le ore ventidue del giorno 9 fu bombardata da avolaaerei inglesi che provocarono quarantanove vittime nei quartieri Stazione e Carrubella. I primi nemici che presero terra in territorio avolese, sconvolgendo i piani del Comando alleato, furono dei paracadutisti americani il cui lancio era previsto fra Gela e Comiso. Essi impegnarono il primo combattimento coi nostri soldati in contrada Archi. Verso le due e quarantacinque, sulle spiagge che vanno da Calabernardo a Capo Ognina, presero terra i primi commandos britannici, seguiti, verso le ore quattro, dai fucilieri del 151° battaglione che cominciarono a risalire il viale Lido. Nel frattempo, le nostre batterie costiere erano state neutralizzate dal fuoco delle navi da guerra nemiche che scortavano le navi da trasporto. Al termine del viale, nel punto di intersezione tra il corso e la via Nizza (la “porta” di
avolaAvola), sorgeva un fortino in cemento armato dal quale il fante Giuseppe Borbone (nato a Raddusa l’8 marzo 1913, medaglia d’argento alla memoria) impegnò a lungo il nemico, contrastandone eroicamente l’avanzata. Rimasto solo, continuò a far fuoco con la sua mitragliatrice, fino a quando non fu ucciso. Un centinaio di metri più avanti, dall’angolo tra il corso e la via Dante, un altro anonimo mitragliere impegnò coraggiosamente il nemico. Superato l’ostacolo, i britannici giunti all’incrocio tra il corso e la via Venezia, annientarono la resistenza di alcuni nostri soldati che avevano aperto il fuoco da un’improvvisata barricata sita nei pressi dell’incrocio tra via Venezia e via Cavour. Verso le sei e trenta gli inglesi arrivarono in piazza Umberto I e cominciarono a concentrarvi (nel quartino della Chiesa Madre) i prigionieri che andavano rastrellando, per poi smistarli verso le loro navi che li avrebbero inviati in lontani campi di concentramento. Molti di questi prigionieri torneranno in patria dopo alcuni anni, altri non torneranno più. E’ giusto sottolineare la generosità di tanti avolesi che salvarono centinaia di nostri soldati, nascondendoli avolain casa e fornendoli di abiti civili. Per contro, altri avolesi si abbandonarono ad atti di spregevole sciacallaggio. Altri sporadici combattimenti si svolsero in vari punti del centro abitato. Verso le 10, i britannici assalirono uno sbarramento stradale sito lungo la statale per Noto, in contrada Santa Venericchia. Il presidio italiano che lo difendeva, durante la notte, aveva respinto l’attacco di alcuni paracadutisti americani, i quali, restando nella zona, forse furono vittime di un episodio di “fuoco amico”, da parte degli inglesi che non sospettavano la loro presenza. In quel combattimento cadde eroicamente il sottotenente Luigino Adorno (Noto, 17 agosto 1917, medaglia d’oro). Verso mezzogiorno Avola era completamente in mano al nemico e gli avolesi, in massa, si allontanavano dal paese e dalla guerra, cercando riparo in campagna e ad Avola vecchia (la grotta di Santa Venera fu abitata per settimane da centinaia di persone, in condizioni che oggi ben difficilmente riusciremmo ad immaginare).
Alcuni aerei tedeschi attaccarono per diversi giorni le navi nemiche che continuavano a sbarcare materiale bellico (i carri armati venivano sbarcati a Mare vecchio, dove il piccolo molo era stato prolungato da un molo artificiale), riuscendo ad affondarne alcune. Il paese subì altri bombardamenti aerei che provocarono altre vittime fra i civili, molti dei quali subirono serie mutilazioni, anche a distanza di anni, a causa delle bombe inesplose e delle munizioni che rimasero disseminate nelle spiagge.
Silvano C. Appolloni
Ottobre 2003

Sbarco anglo-americano in Sicilia

foto
Avola, 11 luglio 1943. Gli uomini del 6° Durham Light Infantry parlano con un paracadutista americano.
Piazza Umberto I. Sullo sfondo l'angolo dell'ex Bar Finocchiaro

Cortile Barbarino, ad Avola,
nel luglio del 1943 e nel luglio del 2003
Prima

LUGLIO 1943 – Il carretto, la pergola ("preula", tipica ad Avola) e le tegole non riescono ad annullare, con la loro straordinaria poesia la tragicità del momento, coi soldati italiani buttati lì "casualmente"...
Adesso

Le macchine sistemate casualmente nel tipico disordine urbano, sostituiscono i cadaveri della foto di sinistra; i colori di discutibile gusto hanno preso il sopravvento su tutto, in ogni senso. Nessuna poesia vien fuori ...se non fosse per qualche nuvola identica nel cielo.

Vorrei incontrarli ancora una volta
tutti quei miei compagni della IV A,
classe mista del Magistrale Matteo Raeli di Noto
che si diplomarono nell'anno 1953.

Eravamo in trenta circa i ragazzi della IV A, classe mista, dell'Istituto Magistrale Matteo Raeli di Noto, nell'anno scolastico 1952-1953; ci diplomammo quasi tutti, in pochi nella sessione estiva, il resto nella sessione autunnale; solo in due ricordo, non ce la fecero e dovettero ripetere l'anno.
Ero il più piccolo, assieme a Claudia, avevo diciassette anni e solo l'anno prima, per imposizione del Preside, avevo indossato i pantaloni lunghi.
Li ricordo quasi tutti i mici compagni di quell'ultimo anno trascorso fra i banchi di Scuola e ricordo anche molti dei Professori che ci guidarono durante i quattro anni di corso: il Professore di Scienze Naturali che ci interrogava secondo un calendario prestabilito, che ci seppe infondere grandi valori e che seppe incantarci con la sua semplicità e con la sua grande umanità, gli si empirono gli occhi di lacrime l'ultimo giorno di Scuola; il Professore
di disegno, burbero allegro, che non ci permetteva di stare in classe in maniche di camicia e al quale, un po' per scherzo ma con grande rispetto, sì dava del vossignoria e lo si salutava con vossia mi benedica ; l'anziana professoressa di francese che apostrofava "amato mio" Nino attuale GIP a Catania; il Professore di Italiano e Storia, che ho avuto collega docente negli anni ottanta, presso l'Istituto Enrico Fermi di Siracusa,che ci deliziava con le sue dotte lezioni di Letteratura italiana e di Storia; il Professore di Latino, capace di arrossire ; il Professore di ginnastica, tedesco buono, che sposò la nostra compagna di classe Ines ed altri ancora, tutti seri e bravi.
E i miei compagni, prima fra tutti Mariuccia già studentessa assieme a mio fratello al Liceo Classico di Avola , che mi voleva bene come ad un figlio, la dolce Teresa, la bella Franca e Sebastiano, già uomo fatto fin da ragazzo, che non sono più fra noi (… e quanti altri no mancano?).
Mi incontro, quasi tutti i giorni, con Francesco, Professore in pensione di Lettere e Filosofia, frequentiamo la stessa comitiva da più di trent'anni, e ogni tanto richiamiamo alla memoria quei tempi di Scuola; una magnifica serata d'estate di qualche anno addietro, in una campagna di Testa dell'Acqua, invitati da Corrado, già Preside nei Licei, ci siamo rivisti con l'altro Corrado, Professore di Lingue Straniere in pensione ad Enna, e con Giovanna , la sorella di Maria.
Incontro spesso Lucia e alle volte anche Paola Anita che abitano ad Avola come me, Ina vive a Cagliari.
Vorrei incontrarli ancora una volta tutti quei miei compagni della IV A, classe mista del Magistrale Matteo Raeli di Noto, che si diplomarono nell'anno 1953.
Avola giugno 2003
Giovanni
0931562042-3393256078

novitàDa IL GIORNALE DI SICILIA
del 13 novembre 2003
[...]"Un uomo coraggioso, forte e generoso”. Viene ricordato così Giuseppe Coletta, 38 anni, il vice brigadiere di Avola, sposato e padre di una bambina di 20 mesi, rimasto ucciso nella strage di Nassirya. La notizia ha scosso profondamente i familiari, i parenti e gli amici di Avola, dove è l’intera città a lutto e dove Coletta, tornava abitualmente ma anche a san Vitaliano, in Campania, dove risiedeva da tempo prestando servizio al comando provinciale di Castello di Cisterna a Napoli, c’è profondo sconforto. Tutti lo ricordano con affetto...".
pace
Noi che siamo, ancora, contro la guerra
e che continuiamo ad aver fortissimi dubbi
sulla necessità di mantenere soldati italiani in Iraq
non possiamo che essere fortissimamente rattristati
per questo prevedibilissimo dolore
che irrompe coi nostri diciannove morti
(per non parlare di tutti gli altri caduti)

nella nostra quasi-tranquilla quotidianità
Libreria Editrice Urso
Ad Avola il funerale
del Vicebrigadiere GIUSEPPE COLETTA


Oggi, 20 novembre 2003
, è un giorno che difficilmente verrà dimenticato...una data che rimarrà impressa nella nostra memoria e nei nostri cuori.
Stamane, si è celebrato nel suo paese d'origine, il funerale di un uomo morto per la Pace e per la Patria.
Ci sono momenti in cui le parole si fanno incapaci di esprimere quanto si sta vivendo e più di ogni altra cosa conta la presenza. Attorno a lui e alla famiglia si è raccolto l'intero paese e le rappresentanze regionali, provinciali e comunali di qualsiasi ordine militare e civile...uniti assieme con dignità e commozione a condividere in silenzio un dolore straziante. Mai come in queste circostanze, davanti a una vita così tragicamente stroncata, ci sentiamo così uniti.
La chiesa era stracolma, la maggior parte occupata da esponenti militari; fuori una marea di gente, di qualsiasi età, ad ascoltare la funzione religiosa grazie ad un impianto acustico che ha reso partecipe l'intera popolazione. Durante tutto il rito religioso la Chiesa era priva di mura, nessuna barriera...era un unico luogo di culto dove ognuno ha partecipato attivamente alla funzione; una preghiera continua, le mani si sono strette in segno di Pace e i versi del Padre Nostro hanno echeggiato verso il cielo.
Un applauso lunghissimo, i rintocchi delle campane a morto e le note del "silenzio" della tromba, hanno accompagnato l'uscita della salma dalla Chiesa... momenti dove la commozione ha raggiunto l'apice.
Da lì si è mosso un corteo lunghissimo per accompagnare il nostro Giuseppe verso il cimitero... verso la sua dimora eterna dove riposerà in pace accanto al suo amato figlioletto.
"L'eterno riposo dona loro, o Signore e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Amen "

Marina Argentino

TRADIZIONE E FOLKLORE AVOLESE

In piazza, aspettando qualcosa
di Sebastiano Burgaretta

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Ogni anno 19 mila visitatori
BIBLIOTECA COMUNALE.
Lettori di ogni età, un patrimonio di 23 mila testi e 782 antichi volumi
La biblioteca comunale, è una organismo fondamentale per l'istruzione e lo sviluppo della cultura nella città. Poca importanza e rilievo si dà spesso a questo settore che merita, invece, una maggiore attenzione.
Nei locali della biblioteca, in via San Francesco d'Assisi, si contano oltre 23 mila testi, di cui 782 del fondo Cappuccini, risalenti ai secoli XV, XVI, XVII e XVIII, e per i quali si sta provvedendo alla rilegatura.
Secondo un progetto della Regione, il patrimonio librario presente in ogni biblioteca isolana, verrà messo in rete, prima a «interconnettersi» saranno le varie biblioteche di ciascuna delle nove provincee poi dell'intera isola.
Oltre ai tradizionali volumi, comunque, si possono trovare anche testi relativi a specifici settori quali: testi di cultura locale, di storia dei comuni della Sicilia, di medicina, di architettura e testi per educare alla solidarietà, all'amore e alla pace.
Nella biblioteca, oltre alla sala lettura che conta 60 posti, vi è anche uno spazio per la consultazione gratuita della Gazzetta Ufficiale, raccolta e rilegata dagli addetti fin dal 1986. Dal 1972 vantano anche la raccolta di tutti i numeri del nostro quotidiano, del quale al momento sono consultabili solo gli ultimi anni per mancanza di spazio.
Da oltre quindici anni si svolgono visite guidate all'interno della biblioteca stessa, con l'intento di stimolare i giovani e i meno giovani l'interesse per la cultura e per lo studio.
Ogni anno la biblioteca conta dai 16 mila ai 19 mila visitatori che, di anno in anno, si avvicinano a questo importante spazio culturale cittadino per la lettura e la conoscenza di testi di vario argomento.
La consultazione o il prestito dei volumi non interessa solo persone legate al mondo dell'istruzione, ma anche e soprattutto lavoratori, casalinghe e giovani.
«Molti giovani che consultano testi della nostra biblioteca - dice il direttore Salvatore Caldarella - provengono da altri centri, vengono da Pachino, Modica, Floridia, Priolo e negli anni passati sono arrivati fin qui anche studenti di Palermo che, per consultare determinati volumi, hanno frequentato le sale della nostra biblioteca».
La frequenza di visitatori sembra crescere sempre di più, specialmente gli studenti, che per ricerche, anche specifiche, trovano soddisfacente l'offerta.
Molti scrittori locali, inoltre, trovano informazioni e materiale utile tra i volumi della biblioteca, e spesso, al completamento del loro testo, ne cedono una copia.
È grazie a questa iniziativa e a quella intrapresa dal direttore e dai suoi collaboratori di adottare testi usati e decenti dai cittadini avolesi, che la biblioteca comunale ha potuto registrare un bumento dei testi.
Da qualche anno, infatti, gli scaffali della non si sono potuti arricchire a causa della mancanza di fondi e solo ora, grazie ad un piccolo contributo regionale e comunale, si può acconsentire all'acquisto di qualche testo, dando maggior spazio ai romanzi, la cui quantità era limitata.
Mara Di Stefano
Dal quotidiano LA SICILIA del 6/2/2004

IL MIO VIAGGIO DI RITORNO AD ANCONA E DUE NOTARELLE SU AVOLA

Rieccomi di nuovo qui, nel mio studio anconetano. La partenza da Avola, tuttavia non è stata indolore e quell'attraversare lo stretto di Messina mi ha fatto venire come sempre, un nodo alla gola.

Dovevo ritornare, gli impegni lasciati sospesi andavano portati a termine.

Sono arrivato da due giorni e non mi sono ancora riposato bene dal lungo viaggio in treno. Sì, in treno, io ancora, dove mi è possibile, viaggio in treno. Il treno mi fa pensare e i paesaggi che corrono veloci sono per me sensazioni di poesia. i paesaggi luminosi e chiari, abbaglianti (dov'è una luce simile nel mondo?) della Sicilia con il suo mare turchino e terso mi fanno venire in mente ricordi mitologici: ninfe e sirene; navigatori come Ulisse in cerca di se stesso ed umili emigranti; l'aspro paesaggio calabrese è ancora simile, in qualche modo alla terra appena lasciata là, oltre lo stretto; il mare del Cilento e le sue scogliere e città mitiche come Palinuro hanno per me un fascino misterioso ed antico; Napoli col suo Vesuvio mi ricordano gli anni della mia fanciullezza, gli anni in cui vi feci l'ammissione al Liceo artistico; l'agro pontino e romano e poi Roma mi riportano in mente antichi viaggiatori lì convenuti per studiare l'arte classica e rinascimentale romana; il francescano paesaggio umbro, con le sue dolci e verdi colline mi proiettano verso una sensazione mistica e spirituale poi, finalmente Ancona, in quell'Adriatico a volte incolore e grigio, a volte luminoso come il mio Jonio. In aereo avrei avuto tutte queste emozioni?

Dicevo, sono ancora stanco del viaggio (ultimo romantico viaggiatore) ma felice di essere di nuovo a casa.

Ora sono qui, chiuso nel mio studio. Ho ritrovato la confusione che vi avevo lasciato: tele appoggiate alle pareti, disegni e rotoli di carta dappertutto, il quadro non finito sul cavalletto, libri sparsi in ogni dove, pennelli ancora sporchi di colore, barattoli di vernice, tubetti spremuti, vecchie cornici: insomma un caos, una confusione totale.

Oddio, sono già di nuovo con la testa al lavoro, il riposo di Avola è già un ricordo lontano; mi fa di nuovo male la testa, quasi quasi riprendo il treno e torno ad Avola per riposarmi per altri 20 giorni.

Sì, ad Avola mi sono riposato ma, in qualche modo anche inc.... chiedo scusa, arrabbiato.

Ho passeggiato per 20 giorni con mia moglie per le strade e le piazze di Avola: la temperatura era ideale, non era tanto caldo(anomalia di un giugno avolese).

Ad Avola non ho frequentato nessuno, non ho voluto con nessuno parlare d'arte o di poesia, nè di letteratura o di musica. Con chi poi? Ad Avola non conosco nessuno e nessuno mi conosce. Io, ad Avola, vivo serenamente il mio anonimato. Gli avolesi incontrandomi, sicuramente parafrasando Manzoni, hanno detto: Carneade, chi è costui?

Rari personaggi donchisciotteschi nel senso che combattono contro i mulini a vento stazionano davanti all'unica libreria di Avola: al centro del gruppetto, quando non è impegnato dietro il banco a consigliare un libro, lui, il Ciccio, che non stà per grasso ma per Francesco. Lui e la sua gentile e graziosa consorte, sono al centro di quei pochi dibattiti culturali avolesi. Ciccio, per quel poco che lo conosco, vorrebbe, giustamente vivere in un mondo culturale che in loco non trova e può sembrare un personaggio fuori dal mondo: lui e pochi altri. Questo gruppetto di amici vive e combatte un mondo fatto di arroganza, prepotenza e sopraffazione. Combatte per quello che ho potuto capire, piccoli uomini senza passato e senza futuro.

Questi signori senza futuro vivono bene in un mondo inquinato non solo atmosferico per via di vecchie macchine scassate e maleodoranti che scaricano nell'aria chissà quali veleni. motociclisti senza casco in un traffico caotico e disordinato che neanche a Napoli ho mai visto. Questi signori vivono bene in mezzo a migliaia di vuote bottiglie di birra abbandonate lungo il viale, vuote come è vuota la testa di di tanti giovani. Cosa fa la famiglia? Cosa fa la scuola? Cosa fanno i professori? Non sarebbe ora di educarli? Passare per il viale nel pomeriggio è una esperienza che non consiglio a nessuno! No, noi siciliani non siamo perfetti, il Principe, nel Gattopardo sbagliava, non siamo perfetti mapossiamo essere perfettibili.

PRIMA NOTARELLA

Una vecchia stalla di un palazzetto senza meriti architettonici viene ristrutturata (e questo mi sta bene) ma, per favore non chiamiamola pinacoteca. Ma ad Avola sanno cosa vuol dire pinacoteca? Basterebbe consultare un qualsiasi dizionario. Il Devoto alla voce pinacoteca risponde: Galleria destinata a conservare ed esporre collezione di pittura. Invece la "Pinacoteca" è miserevolmente vuota. Né d'altronde ad Avola ci sono opere degne di stare in una pinacoteca. Le opere di pittura delle chiese avolesi ammettendo di volerle conservare in pinacoteca non meriterebbero questo onore, in quanto tranne rarissimi casi, sono opere di pittorelli di sacrestia.

SECONDA NOTARELLA

Che sobbalzo quel giorno durante la mia passeggiata mattutina nel constatare che in Piazza ('a ciazza) notai, e come potevo non notare che, a fianco delle aiuole centrali che decorano la piazza, quattro piccole, ma mica tanto, aiuole vicine a quelle più dignitose disegnate da quel nostro grande uomo e concittadino che fu l'architetto Vinci. Il Vinci, durante i suoi anni di studio a Firenze aveva ammirato e sicuramente studiato a fondo, insieme alle grandi opere di architettura e di scultura fiorentina le formelle del Battistero di Lorenzo Ghiberti. "Il mio bel S.Giovanni" come lo chiama Dante, nel ricordo del suo battesimo, lì avvenuto. Il Vinci, dicevo, riprese la formella quadrilobata della porta e la ripropose in grande per decorare i quattro quartini della piazza. Ora io dico, che senso ha mettere una aiuoletta provvisoria e brutta vicino a simile opera! Risultato, cattivo gusto. Soldi sprecati. Se si voleva arredare la piazza bisognava cercare qualcosa di più serio e con più eleganza estetica.

Oddio basta, finisco qui, altrimenti gli avolesi non mi ci fanno più tornare ad Avola ed io, a dispetto di tutto ad Avola tornerò sempre volentieri. Ma ad ogni mio ritorno vorrei trovarla sempre più bella, sempre più vivibile e più accogliente.

ENZO PARISI
pittore ad Ancona con in mente la sua Avola

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