LA MANIFESTAZIONE
CONCLUSIVA DEL CONCORSO
ANTOLOGIA INCHIOSTRO E ANIMA 2010/2011
In memoria di Antonio CaldarellaDOMENICA 6 FEBBRAIO 2011 ore 17
A MARZAMEMI NELLA SALA CONFERENZE
del Palmento Di Rudinì - Museo enologico
Alcune riflessioni in occasione della serata conclusiva
Marzamemi 6 febbraio 2011
di Orazio Parisi
IlConcorso Letterario Internazionale "Inchiostro e Anima", ideato da Giusy Cancemi, che tiene uno spazio omonimo di poesia su Facebook, e realizzato in collaborazione con l'editore avolese Francesco Urso, quest'anno, alla sua prima edizione, è stato dedicato alla memoria dell'amico attore, scrittore di teatro e poeta Antonio Caldarella, e per questo motivo ha ospitato al suo interno tre Sezioni: Cinema, Teatro e Poesia.
La partecipazione dei concorrenti è stata, con piacevole sorpresa degli organizzatori, abbastanza significativa. In particolare, nella Sezione Poesia, ha registrato un vero e proprio affollamento, anche questo in verità inaspettato. Inaspettato, perché si fa oggi un gran parlare, un po' dappertutto, di crisi della poesia. Si dice, e si scrive, che la società attuale non ne sa nulla di poesia. E, quando presume di saperne qualcosa, la dichiara morta, perché, sostiene, oggi la poesia non serve a niente, tant'è che non interessa a nessuno.
Considerata la quasi totale assenza di mercato dei libri di poesia (i libri più fortunati non vendono più di un centinaio di copie), sembrerebbe che questa opinione ci abbia azzeccato. Ma poi il pensiero va a quei quattrocento milioni di utilizzatori di Facebook, la cui stragrande maggioranza parla di poesia, ama la poesia, scrive di poesia e scrive poesie. E allora, ci si chiede, le cose come stanno realmente? Coloro che dovrebbero fare maggiore chiarezza, gli intellettuali, se interpellati, fanno più confusione. Gli intellettuali di oggi, diceva Enzesberger in "Zig Zag" alla fine degli anni Novanta, sono pettegoli e velenosi forse più delle lavandaie. Essi danno man forte all'opinione diffusa sul non senso della poesia, quando affermano candidamente che nel mondo attuale, in cui la poesia sta come d'autunno sugli alberi le foglie, chiunque si può autoproclamare "poeta" aprendo un blog su internet o pubblicando, spesso a pagamento, presso qualche piccolo editore di provincia.
Dimenticano, questi intellettuali, che la poesia ha avuto vita difficile sin da quando è nata. Tanto per portare un esempio recente, Sciascia, nel suo pamphlet "Atti relativi alla morte di Raymond Roussel ", ci ricordava che Dino Campana si metteva davanti a un bar a vendere i suoi "Canti Orfici". E guardando in viso le persone interessate a comprare, strappava frequentemente alcune pagine del libro, dicendo loro che quelle non erano necessarie. Ad alcuni è arrivato a vendere la sola copertina.
E poi, la cosiddetta piccola editoria... Cosa vogliono dire? Questi intellettuali sono pure superficiali. Non si può fare di tutta un'erba un fascio. Senza entrare nel merito della diatriba di qualche decennio fa, se piccolo è bello oppure no, non v'è dubbio che Passigli è un piccolo editore. Eppure, la sua "piccola" casa editrice ha una Collana di poesia fondata da Mario Luzi. E nella quale si trova un vero affollamento di poeti di altissima qualità come, per citarne solo alcuni, Juan R. Jiménez, Raymond Queneau, Paul Eluard, Emily Dickinson, Francesco Serrao, Aleksandr Blok, Melo Freni, Miguel de Unamuno, Anna Achmatova, Laura Canciani, Alberta Bigagli, Antonio Machado e lo stesso Mario Luzi. Ultimo, in ordine di pubblicazione, Tomaso Pieragnolo, che col suo "nuovomondo" sta riscuotendo molta attenzione.
Ad agosto dello scorso anno Adnkronos fece apparire sul suo blog un articolo dal titolo "Ma la poesia sta morendo? No, se i versi fanno flop torna di moda il reading". In esso si legge: "Ma la poesia sta morendo? Stando ai sondaggi parrebbe di no. Se in pochi riescono a conquistarsi un editore, a meno di pagarlo, e poi un pubblico di lettori, sono in tanti, un milione e mezzo, uomini e donne di ogni età, gli italiani che si cimentano a scrivere odi e liriche. Il genere dunque, nonostante non riesca a imporsi come business cartaceo, vive. Anzi, vive alla grande, attraverso il recupero in chiave contemporanea della propria natura di oralità: grande successo infatti stanno riscuotendo i reading, veri e propri spettacoli in cui il poeta diventa anche attore, interpretando i propri componimenti". E, più avanti: "'Viviamo nell'epoca della moltitudine e della società di massa ma molti ancora non capiscono che siamo in un'era diversa, nella quale i criteri che potevano essere validi nell'Ottocento e nel primo Novecento ora sono tutti da rimettere in discussione. Inoltre spesso mi chiedo 'ma quanti lettori aveva Leopardi? Quanti Foscolo?'. La verità è che in fondo la poesia non è mai stata un fenomeno di massa, anche perché fino agli anni 60 la società di massa neanche esisteva!'. Lo dice all'ADNKRONOS Marco Palladini, romano, classe 1954, da più di vent'anni autore sperimentale, critico, drammaturgo, compositore e performer teatrale nonché organizzatore, già nel 1998, del primo 'Rave di poesia' italiano, commentando lo stato in cui versano le vendite in campo 'poetico'".
Ma allora, dicono gli intellettuali, abbiamo ragione noi?! Assolutamente no. In primo luogo, non si può condividere il disprezzo. Un vero intellettuale deve possedere la sensibilità del poeta, perché il vero intellettuale è il poeta. Come ha scritto su facebook, a marzo dell'anno scorso, dialogando con me sul senso della poesia, l'amica Maria Zimotti: "Quale che sia, musicale, filosofico, teatrale, cinematografico, artistico, letterario, non esiste paragone più alto per esprimerne l’efficacia che quello di accostarne la misura al termine poesia. Perché? Il punto è proprio questo: perché la poesia è un luogo nuovo. Anzi, la poesia è l’arte di scoprire il nuovo all’interno del luogo in cui innegabilmente siamo rinchiusi. Il linguaggio. E per questo è così difficile da trovare. La poesia è il ritrovamento di un posto sconosciuto, nonostante l’esplorazione sia condotta da una gabbia. La poesia sta fuori e, in sé, racchiude tutto. Nella mia personale esperienza, la poesia è stata un’autentica sciabolata. Poi è stato un problema di connessione, tra me e il mondo. In seguito è diventata una sfida di precisione, sulla capacità di restituire le esperienze fatte. Negli ultimi tempi invece rifletto sul suo essere pura e trasparente membrana, un’interfaccia che non indica nulla ma ci consegna realtà viva; l’opera inserita da qualcuno che mi giunge nello scorrere della vita e di cui prendere possesso, aggiornando al mio spirito il referente".
Il 21 marzo dello stesso anno, usciva sull'Unità un articolo intervista di Paolo Di Paolo che chiarisce ulteriormente la questione: «In un tempo sommerso dalla chiacchiera – dice all’Unità Elio Pecora, uno dei protagonisti della poesia contemporanea –, è sempre più forte il bisogno di affidarsi a parole chiare, che durino». Pecora non teme neppure il «numero spropositato di persone che scrivono versi in Italia»: «è uno spazio di possibilità che si allarga, nel quale chi ha talento può tentare con più fiducia e più appigli». Se dai poeti vi aspettate solo disincanto, sarete delusi. Il «ruolo sociale» sarà pure superato, ma quel «piacere privato» di cui diceva Amelia Rosselli, può essere condiviso, diventare pubblico. Non è già molto? È tutto. «Oggi poi noto per la poesia – è sempre Rosselli a parlare, nel 1987 – una spontanea adesione, nel senso che, al di là della pubblicità editoriale, si può sperare nell’attenzione di alcuni».
Certamente, lo scrivevo a Maria Zimotti, a volte la poesia rappresenta un alibi, per quelle persone che scrivono ma non leggono, e quindi non prestano, come dice Paolo Di Paolo, attenzione. E lei mi rispose con ironia: "Forse, per rendere meglio quello che dici, può essere utile leggere questo stralcio: Mi rivolsi a Ghinthoss. "Lei è un poeta?". "Sì. Ho quest'onore", rispose lui sorridendo con aria compiacente. "Ho sempre desiderato sapere una cosa di voi poeti". "Sì", disse Ghinthoss sempre sorridendo. "Che cazzo fate tutto il giorno?". (Robert Mcliam Wilson, da "Eureka street")".
Ma l'intellettuale, col suo livore manifesto, non cerca di comprendere, vuole solo censurare. E non se la prende soltanto col poeta. Ce l'ha con tutto il mondo. Lancia strali soprattutto contro i social network, colpevoli, secondo lui, dall'abbassamento scandaloso della qualità letteraria. Il blog dal titolo "Imperfetta ellisse - blog di poesia e altro", il 30 marzo 2010 riportava un articolo dal titolo esemplificativo: "Poesia e rete - Tutta colpa di Facebook, forse...". A un certo punto si legge: "Il problema in questo paese è spesso quello di scambiare il mezzo per il fine, e anche, come nel brano sopra, i numeri (in questo caso il successo di Facebook) per la qualità. Tempo fa ho incontrato un giovane poeta (non faccio nomi neanche morto). Non conoscendolo di persona, ho voluto stringergli la mano e presentarmi (vecchie pericolose abitudini d'antan). Lui mi guarda in faccia e fa: "Ma, ci conosciamo?". E alla mia risposta: "Si e no, diciamo che su Facebook...", lui alza gli occhi al cielo e ridacchia : "ah, Facebook, allora...", e un altro tizio che sta lì nei paraggi non richiesto ridacchia e fa: "eheh, Facebook, figurati i miei alunni sai come lo chiamano, faccia di buco, eheh". Va bene, mi sono sentito un po' fesso, e su una cosa hanno ragione, che chiamare amico qualcuno frequentato su Facebook è un po' azzardato, ma lo è se non riesci a stabilirci una comunicazione, uno scambio di idee vero, e da questo punto di vista invece posso dire di avere su Facebook qualche amico reale. Su una cosa invece non hanno ragione, cioè sul cullare la loro ipocrisia: tutti disprezzano Facebook e tutti sono su Facebook, di tutte le persone che conosco solo due o tre hanno avuto le palle di ignorare il mezzo completamente (e qui sì, potrei fare i nomi). Il punto è per quale fine lo usi. Altrimenti il mezzo usa te".
Al momento, non aggiungo altro.
da Facebook
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COME RAGGIUNGERE
LA SEDE DELLA MANIFESTAZIONE CONCLUSIVA DEL CONCORSO
Arrivati alla rotonda poco prima di Marzamemi,
sulla strada Pachino-Marzamemi, girare sulla destra verso il porticciolo in direzione di Portopalo,
a metà di questa tangenziale si intravede la grande construzione sede dell'evento)