VI PARLO DI UN LIBRO
Teocrito Di Giorgio
Le manette (Dramma in tre atti)
A cura di Maria Suma
Libreria Editrice Urso, Collana "Mneme" n. 51
2018, 8°, pp. 56, € 10,00 – ISBN 978-88-6954-189-6
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PER “LE MANETTE – Dramma in tre atti” di Teocrito Di Giorgio
È molto difficile fare e
parlare di cultura al giorno d’oggi perché si rischia
di non essere capiti o, peggio ancora, di essere derisi. Esistono tuttavia
ancora baluardi, che si pongono autenticamene e caparbiamente e, aggiungerei,
instancabilmente il proposito di portare avanti questa missione impossibile in
un’epoca nichilista come la nostra.
Certamente uno di questi
baluardi è costituito dalla Libreria Editrice Urso di Avola, che non ha mai
smesso un solo attimo di organizzare eventi culturali – aperti a tutti e
senza onere per alcuno –, capaci di restituire la perduta identità della
nostra città.
È risaputo che il
patrimonio culturale di una comunità, piccola o grande che sia non ha
importanza, esprime il significato della nostra identità: chi siamo, possiamo
capirlo soltanto se non trascuriamo la conoscenza del nostro patrimonio
cultuale e la sua tutela.
E d’altronde, un motivo
ci sarà stato se anche i padri costituenti hanno avvertito l’esigenza di
consacrare all’art. 9 della Costituzione, quindi tra i principi fondamentali
(che non possono essere oggetto di modifica alcuna), il riconoscimento e la
tutela del patrimonio culturale e paesaggistico.
Tutelare il patrimonio
culturale significa, nella sostanza, custodirlo per le generazioni future
perché queste possano apprendere della loro origine e capire ciò che sono.
Ciò dovrebbe essere
compito di ognuno di noi – e principalmente delle istituzioni preposte e
degli amministratori locali – fare in modo che la conoscenza delle opere,
degli autori, dei monumenti, del patrimonio culturale nel suo complesso, che ha
segnato la nostra comunità non venga dimenticato o ignorato.
Uno degli ultimi lavori
edito dalla Libreria Editrice Urso di Avola si indirizza proprio in questo
senso con la pubblicazione del dramma teatrale “Le Manette” di Teocrito Di
Giorgio, a cura dell’avvocatessa Maria Suma, che ne ha appunto curato la
pubblicazione e la prefazione al testo.
Teocrito di Giorgio era
un figlio della nostra città di Avola, avvocato e giurista, personaggio
poliedrico, come lo definisce la stessa Maria Suma, per essere stato poeta,
scrittore, musicista ed altro ancora.
Ma Di Giorgio è
pressoché sconosciuto ad Avola nonostante due precedenti pubblicazioni: il
racconto “Per un pugno di case” dello stesso Di Giorgio, edito da Trevi; e la
biografia “Teocrito Di Giorgio. Poeta, scrittore, traduttore” di Salvatore
Salemi, pure edito dalla Libreria Editrice Urso di Avola.
Maria Suma non si è
limitata a pubblicare l’opera teatrale “Le manette”, ma ha svolto una ben più
approfondita e scrupolosa ricerca sulla persona del Di Giorgio, ricerca che
tuttavia non trova spazio nella presente pubblicazione ma che ci auguriamo venga restituita alla
collettività in una prossima pubblicazione.
L’opera teatrale “Le manette” è stata presentata sabato 7 luglio 2018, nel cortile di
quella che fu l’abitazione di Teocrito, ora abitata dal figlio Enzo, alla
presenza della stessa curatrice avvocatessa Maria Suma, che, dopo aver
tracciato la biografia dello stesso Teocrito, ha spiegato magistralmente il
senso dell’opera, nonché alla presenza dell’editore Ciccio Urso e di un numero
considerevole di partecipanti.
Già dalla presentazione
di Maria Suma ho avuto la sensazione che l’opera si innestasse nel solo
culturale inaugurato dal grande drammaturgo siciliano quale è stato Luigi
Pirandello; la conferma ne è poi venuta dalla lettura del testo.
Senza voler svelarne
l’intero contenuto, anche per rispetto di chi volesse leggere il testo, cosa
che personalmente invito a fare sin da subito, si tratta della storia possiamo
dire di un “dissidio” tra due giudici, i quali discutono attorno alla
responsabilità penale di un giovane avvocato accusato di appropriazione
indebita, ed uno dei due, di stampo colpevolista e tutto “sicuro di sé”, è
persuaso che alla condanna di un individuo possa pervenirsi attraverso
l’applicazione dei principi di diritto; e l’altro, invece, ritiene che debba
tenersi conto della persona incriminata, del suo essere persona e quindi
decidere della sua colpevolezza tenendo bene a mente la dimensione umana,
esistenziale oserei dire.
L’epilogo è drammatico
non solo per l’esito del dissidio, che non sto qui a rivelare, ma soprattutto
per le forti implicazioni giuridiche-esistenziali, se così posso dire, e al
tempo stesso filosofiche che a mio parere sembrano scaturire dall’opera.
Uno dei due
protagonisti, il giudice Clemente, paradigmatico il nome scelto dall’autore
– come afferma la stessa Maria Suma –, si pone un problema di
coscienza: come può un giudice condannare un suo simile pur sapendolo innocente?
In altri termini, come può un giudice condannare un uomo solo sulla base dei
principi del diritto, nonostante i fatti storicamente accaduti depongono a
favore della
innocenza dell’incolpato?
La coscienza, ritengo, sia un po’ la questione
nodale di tutta l’opera, ossia quella componente del nostro “Io” che ci
interroga incessantemente e ci pone di fronte alle nostre responsabilità. Chi
non ricorda, per citare un’opera letteraria di conoscenza planetaria quale è
“Delitto e castigo” di Dostoevskij, dove il giovane Raskòl'nikov,
dopo essere stato devastato dai morsi della coscienza, decide di confessare
l’atroce crimine e di assoggettarsi alla relativa pena?
La società scopre la coscienza
attraverso l’opera di Freud, il quale la descrive attraverso le tre topiche
dell’Io, dell’Es e del Super-Io, assegnando a ciascuna di esse una ben precisa
funzione.
La letteratura fa sua questa
ricostruzione e l’opera di Pirandello partorisce capolavori quali “Uno, Nessuno
e Centomila”, e “Il fu Mattia Pascal”, per citarne alcuni.
Teocrito Di Giorgio è, a tutti gli
effetti, un pirandelliano perché, attraverso il giudice Clemente del dramma “Le
manette”, pone sul tappeto una questione fondamentale: la coscienza.
Ma l’opera contiene anche altri
significati.
Se dobbiamo paragonare Di Giorgio
alla figura di Pirandello, non possiamo trascurare l’epoca in cui i due vissero
e produssero le loro opere letterarie.
L’epoca è il 900, e il Romanticismo, quale movimento culturale che poneva alla base
del suo pensiero lo spirito, aveva lasciato il posto al Positivismo, quale
movimento culturale che pone a base del suo ideale il progresso scientifico.
Ma siamo anche nell’epoca del
“Nichilismo”, come profetizzata da Friedrich Nietzsche, nella quale tuttora
viviamo, che si caratterizza per la totale mancanza di valori a cui l’uomo
possa ancorarsi, manca, in altri termini, una risposta, che sia una, al
“perché”.
Siamo nell’epoca della alienazione
dell’uomo, il quale è diventato merce di scambio in un processo consumistico e
capitalistico nel quale egli assume valore solo nella misura in cui è in grado
di vendere la sua forza lavoro.
I tre maestri del sospetto, Marx,
Freud e Nietzsche, hanno sviscerato, ognuno secondi i rispettivi ambiti, molto
bene la condizione in cui versava (e tuttora versa) l’uomo moderno.
Dalla fallacia dell’esistenza umana
ne nasce uno spaesamento dell’uomo, una frammentazione dell’Io, perché egli non
riesce a capacitarsi del fatto che le sue certezze, proprio come il giudice
colpevolista del dramma “Le manette”, non possono essere definite tali; non
riesce a trovare una risposta al “perché”.
Ecco, io credo che l’opera “Le
manette” di Teocrito Di Giorgio, curata da Maria Suma, voglia dirci soprattutto
di questo spaesamento dell’uomo, di questa forma crudele di nichilismo alla
quale come farmaco sembra esserci solo la pazzia.
Una considerazione
finale va fatta anche alle accezioni giuridiche che l’opera importa.
Vi è un moto di
coscienza da parte dell’autore, ma vi è anche una esigenza di verità.
Di quale verità?
Nel libro “Il Maestro e
Margherita” di Michail Bulgakov, Ponzio Pilato, nell’interrogare Gesù, gli
chiede: “E perché tu, vagabondo, nel
bazar sobillavi il popolo raccontando della verità, di cui non hai idea? Che
cos’è questa verità?” … Oh dèi! Gli pongo domande
inutili ai fini del processo … la mia ragione non mi obbedisce più … La verità
è innanzitutto nel fatto che ti duole il capo, e ti duole tanto forte da
suggerirti vili pensieri di morte. Tu non solo non hai la forza di parlare con
me, ma ti è persino difficile guardarmi. E ora io involontariamente sono il tuo
torturatore, e questo mi addolora”.
La verità cui tende il
processo, e in particolar modo il processo penale, è una verità processuale
alla quale si accede attraverso lo svolgimento del processo secondo le norme
che lo disciplinano: il giusto processo, come mirabilmente affermato in sede di
presentazione la curatrice avvocatessa Maria Suma.
Al processo non
interessa la verità storica, ossia la verità scaturita dai fatti
fenomenologicamente verificatisi; quei fatti, perché possano dirsi a fondamento
della responsabilità penale del soggetto imputato, debbono cristallizzarsi davanti
agli occhi di un soggetto terzo ed imparziale, quale è il giudice, che dovrà
poi in relazione alla loro sussistenza o insussistenza giudicare, quindi
condannare o assolvere.
Capite allora quale
compito immane spetta al giudice, quello di trovarsi di fronte a fatti anche di
una certa crudeltà e tuttavia assumere decisioni prescindendo dagli stessi
qualora non risultassero provati secondo le norme.
Come dire che forse sono
le norme le sole portatrici di verità, di tante verità o di nessuna verità.
Come vedete, siamo a
Pirandello o, se preferite, a Teocrito Di Giorgio.
Infine, desidero
esprimere il mio ringraziamento a Maria Suma per avermi fatto conoscere
quest’opera di Teocrito di Giorgio, a me sconosciuta, e per l’eccellente lavoro
di ricerca svolto, che, come innanzi già detto, ci auguriamo possa trovare in
tempi brevi la necessaria pubblicazione a beneficio della collettività.
Un ringraziamento lo
devo anche a Ciccio Urso per la sua instancabile attività culturale che
quotidianamente svolge in favore della collettività avolese, sebbene questa non
ne dimostri riconoscenza.
Un particolare omaggio
voglio indirizzarlo alla bella Liliana che, con la sua dolcezza, è riuscita
ancora una volta a solleticare le corde del cuore con le sue canzoni ed in particolare con il brano “Salve sono la Giustizia” dei
Nomadi, a me totalmente sconosciuto.
Come vedete, non si
smette mai di imparare.
Ecco, questa potrebbe
essere la verità!
Avola, 8 luglio 2018
Leonardo Miucci
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