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Giuseppe Conte
Per

CONTE M. GIUSEPPE

 

 

Giuseppe M. Conte, La risacca – Poesie e prose, 2023, 8°, pp. 64, € 12,00 – ISBN 978-88-6954-359-3

 

 

Con quest’ultima silloge, La risacca, l’autore racconta in versi e in prosa le ragioni di un quotidiano apparentemente “minore” e le sue idealità. Vicende di vita e di pensiero.

Giuseppe Conte (Marius è l’eteronimo) nasce a Motta Sant’Anastasia. Allievo di Carlo Grabher e di Santi Mazzarino, nell’Università di Catania, consegue la Laurea in Lettere Classiche con una tesi sui saggi londinesi di Ugo Foscolo. Professore di Letteratura Italiana e Latina e Preside del Liceo Scientifico e Classico “G. Galilei” di Legnano, esordisce, giovanissimo, con lavori teatrali: Lettera a Caino (1955); I figli della terra (1956) e successivamente (per la collaborazione del figlio Alessandro, attore) con Le figlie del sellaio (2009).
Scrive articoli per la stampa periodica, saggi storiografici, traduzioni da Paul Valéry e da Jules Laforgue, racconti, poesie. Pubblica: Mocta Sanctae Anastasiae (1979), Oltre le colline dei Sieli (1984), Epigrafia inedita (1989), La fine di una baronia (1990), In vita e in morte di una patrizia romana (1991), I garofani in collina (2000), Marbrées (2001), La melagrana ossia la disegualità (2008), Il sogno di Eliàde (2010), Vele d’Africa (2019), Il barone e altri racconti (2020), I doganieri di Leukos (2022).

Giuseppe Marius Conte vive a Legnano.

Novità Giuseppe M. Conte, I doganieri di Leukos – Poesie, 2022, 8°, pp. 56, € 10,00 – ISBN 978-88-6954-355-5 acquista

La breve silloge I doganieri di Leukos (POESIE) vuole essere un contributo alla rappresentazione della sofferenza, per gli effetti di una barbara guerra: le devastazioni dell’arte e della bellezza, lo stravolgimento di un popolo ferito nella sua dignità.
L’autore spera che queste pagine vengano accolte come concitato appello alla coscienza civile. Nella convinzione che la poesia, insieme con altri manifestamente più importanti strumenti di pacificazione, potrà continuare ad essere quello che pretende di essere: uno spazio ideale, la palestra del buon cittadino, il luogo dove si ha voglia di portare – con la voce dell’esperienza – anche e soprattutto i motivi della speranza.

G.M.C.

Giuseppe Conte (Marius è l’eteronimo) nasce a Motta Sant’Anastasia. Si laurea a Catania in Lettere Classiche con una tesi sui saggi londinesi di Ugo Foscolo. Vive a Legnano. Docente di storia letteraria, ha prodotto lavori per il teatro (Lettera a Caino; I figli della terra; Le figlie del sellaio, monologo, atto unico, elaborato e portato sulle scene dal figlio Alessandro, attore, nel 2009). Ha pubblicato: Mocta Sanctae Anastasiae (1979); Oltre le colline dei Sieli (racconti, 1984); Epigrafia inedita (1989); La fine di una baronia (1990); In vita e in morte di una patrizia romana (1991); I garofani in collina (studio di una lingua popolare,nella piana di Catania, 2000); Marbrées (poesie, 2001); La melagrana ossia la disegualità (saggio, 2008); Il sogno di Eliàde (poesie, 2010); Vele d’Africa (poesie, 2019); Il barone e altri racconti (2020).

NOTE DI CRITICA
Mentre nuvole nere s’addensano nel nostro pianeta la tua vena poetica, caro Giuseppe, va in profondità nel descrivere il dramma d’un popolo. Realtà dolorosa che inonda di tristezza il mondo occidentale ed impaurisce anche quello orientale. La tua poesia, ricca di venature classiche, mi ha colpito per il dolore che si sprigiona dai tuoi versi ma anche per la speranza, amore per la vita che si fa strada fra tante turbolenze. 

(prof. Giuseppe Francaviglia. Roma) 

           

Caro Pippo, ho appena finito di leggere il tuo libro, e devo subito  dirti che ne sono stato molto  colpito:è  un libro compatto,  ispirato, che vede le tragedie  della storia,  e la tragedia della guerra in Ucraina  che oggi ci attanaglia, nella luce incandescente della poesia.  Ho apprezzato tantissimo il passaggio tra il presente e il passato lontano, greco, con il riferimento  a Sparta  e alle Termopili,  il tono lirico e epico insieme, tra Simonide e l'Iliade,  il coraggio  della pietà , come nei versi  dedicati al soldato nemico Dan. Dalle ceneri del male si esce, se c'è  pietà,  speranza e poesia.  Immagini che mi hanno toccato, e di cui condivido pienamente lo spirito, sono quelle del "bimbo nudo appena nato", del" fiore  rosato del melograno ", simboli di continuità  della vita, perché " la morte non avrà  dominio"(Dylan Thomas) e come hai scritto tu in un verso perfetto "E niente muore perché  tutto è  perenne". Grazie  dunque caro Pippo della lettura che mi hai offerto, le mie felicitazioni  e un saluto affettuoso.


(Giuseppe Conte, da Sanremo. 04.10.2022) 

In questa straordinaria silloge di 16 componimenti che, come è stato scritto, giustamente ricordano gli epilli di età alessandrina, Giuseppe Marius Conte ha mirabilmente cerchiato il dolore, la capacità di sofferenza, l’orgoglio del popolo ucraino attraverso personaggi (alcuni a lui legati da affetto parentale, altri sconosciuti) e luoghi (monti, fiumi, campi) del caratteristico paesaggio ucraino.
La tempesta di fuoco che ha investito l’Ucraina ha portato morte e distruzione, ma ha forse ucciso anche la speranza?
Si illude forse il poeta che i suoi versi possano fermare i carri armati o far deviare i missili?
Niente di tutto questo. La poesia, purtroppo, non ha questo potere. Il suo compito, se ne ha uno, è quello di tenere accesa la speranza con parole che si radicano nel cuore: “Nessuna cosa dell’esistente muore per sempre/. E niente muore perché tutto è perenne”. E ancora: “Quando poi tutto si sarà placato… non più il grido di dolore/ senza speranza/ di chi non vuol morire”.
Tenere accesa la speranza, credere che comunque il dolore cesserà, che la pace e la giustizia tra i popoli prevarranno, è possibile solo se il mondo non farà mai a meno della Bellezza, la quale diventa il punto in cui si chiude il cerchio dell’esistenza di un individuo, di un popolo, di un’epoca storica. E’ come l’ultimo tratto che viene dopo momenti parziali, alti e bassi, positivi e negativi, che fanno parte della vita.
Possiamo dunque accogliere con commozione l’invito a Nikolaij, il bambino di Kharkiv, di salire quella scala favolosa dove troverà suo padre, il comandante, morto per la patria, là sulle cime, a cavallo dei venti, quel padre che lo salutò sorridendo sulla banchina della stazione mentre lo faceva partire “verso la vita, verso la scelta, la (tua) libertà”.
Simili episodi di dolore si susseguono impetuosamente come le onde del mare: “Nastassja fugge con il suo bambino. Preda del vento/, non saprà dove andrà.”
Ma il dolore, la pietà e le lacrime sono anche per l’altra sponda, senza distinzione alcuna. Il giovanissimo Dan Melnikov, cittadino di Rostov, giace nei campi con il petto squarciato dalla mitraglia. I suoi commilitoni lo riporteranno in Russia.
Cosa resterà di lui? 
Certamente lui, in vita, non aveva carezzato il pensiero della gloria. 
Qualcuno ora glielo vuole imporre  


(prof. Vincenzo Fiaschitello. ROMA)

 

 

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Copertina Giuseppe Conte
Giuseppe M. Conte
Il Barone e altri racconti
Libreria Editrice Urso,
Collana MNEME
n. 58
Avola 2020, 8°, pp. 160

€ 15,00 – ISBN 978-88-6954-259-6acquista

Tempo passato, memoria e terra natia sono i tre cardini attorno a cui ruotano le storie narrate in questa silloge che si colloca senz’altro nell’ambito della migliore narrativa memorialistica.
Sette racconti più un’introduzione e un epilogo costituiscono l’armoniosa architettura di questo libro che raccoglie sia le memorie di un’intera comunità, quella di Rocca Dei Normanni e ne delinea al contempo alcuni aspetti di carattere storico sociale e di costume, sia memorie più personali e soggettive attinenti alle esperienze di vita dell’autore, fatte durante l’infanzia e la giovinezza che in particolare ne hanno segnato il carattere e determinato la vocazione alla testimonianza attraverso la narrazione letteraria. (…) La sensazione che ne ricava il lettore è come di aver concluso un viaggio quasi iniziatico che l’ha portato nel passato per prenderne coscienza e riappropriarsi così delle proprie radici.
Esperienza importante, soprattutto per i più giovani, in un’epoca come la nostra in cui ogni cosa muta rapidamente e rischia di farci perdere l’identità e la possibilità di costruire un mondo a misura d’uomo.

Maria Grazia Restuccia

Copertina Conte

Eloquar an sileam?
Commento al libro di Giuseppe Marius Conte,
Il Barone ed altri racconti, Libreria Editrice Urso, 2020

La mia perplessità sul parlare o no della raccolta di G.M. Conte, Il Barone ed altri racconti, non deriva certo da dubbi sulla validità dell’opera, ma sull’opportunità che questo compito possa essere svolto, anziché da critici togati e provetti, da un ignoto ed inedito commentatore quale io possa essere. In realtà, dopo un’accurata lettura, la risposta non può essere che positiva.
Vale sempre la pena di leggere e dare attenzione ad un’altra delle tante opere di Conte venute alla luce nel corso degli anni.
Di che si tratta?
Una successione di racconti, inquadrati in un certo modo, ambientati in prevalenza in una terra, se non primordiale, sempre centro di valore antico e fondamentale per la cultura nostra, che si rifà agli ingegni più noti, Pirandello e Sciascia, per dire, e di tanti altri che non voglio enumerare.
Quale l’argomento che tratta?
Sono vari i motivi e gli scenari, non solo la Sicilia e i suoi problemi, che ritornano tutti quasi per un’attenzione naturale e spontanea all’ambiente ed alla cultura che fu la culla dell’Autore, vissuto prevalentemente sino ad oggi nella Valle dell’Olona, ma tornante sempre col pensiero alla nativa Valle del Simeto ed al Paese che lo vide nascere e crescere fino al momento del distacco. Egli lo chiama significativamente Rocca dei Normanni per sottolineare la lontana origine della sua cultura.
I personaggi?
Tanti, creati da lui, ma su uno stampo che non si allontana da figure familiari che hanno impresso un forte sigillo alla sua personalità di uomo e scrittore. L’andamento della raccolta, i cui episodi, espressi in una prosa viva e lessicalmente innovativa, sembrano procedere sul ritmo di un Coro del dramma antico. E tale è in fondo la struttura dell’insieme: un Prologo, un Parodo, una serie di Episodi e di Stasimi, e un Esodo finale; cioè, per tornare al moderno, un’Introduzione, una serie di novelle, e un Epilogo pensoso e problematico, detto “Vertigine” in rapporto alla impressione indotta in lui dai suoi pensieri. L’Introduzione ci dà la misura dell’importanza che assume la figura del nonno Marius, quale ispiratore e suggeritore delle vicende narrate. Essa vive sempre nel ricordo del nipote con la sua personalità rilevante, con le sue abitudini affabulative, con i suoi “tic”, dominando sempre la scena familiare con le sue creazioni narrative tratte da ricordi e fantasiose invenzioni. Quale l’idea che ci dà la lettura dei racconti, che hanno tra loro un forte legame? Un senso di solidità e coerenza, innanzitutto. Ci sono qua e là certamente delle pause di stile e di attenzione, come avviene in tutte le opere d’arte. Non dimentichiamo, in proposito, che anche ai grandi non sempre tutto è andato liscio, com’ è andata male persino alla Commedia dantesca sia nel secolo dei lumi, sia nella più vicina età di Benedetto Croce, che l’ha qualificata un insieme di parti creative e di retorica celebrativa.
Con questa osservazione chiudo il mio intervento. A nessun Autore si possono negare momenti di pausa, neppure, a detta di qualcuno, “al Poeta sovrano”, dato che “quandoque et bonus dormìtat Homerus”; ma la linea narrativa dell’opera che osserviamo è certamente autorevole e promettente per altri traguardi di maggiore spessore.

Raffaele Messina

Ho apprezzato, nel lavoro di Giuseppe Marius Conte, i sapienti e precisi riferimenti storici, sociali, politici, economici e geografici, che fanno da supporto alla costruzione dei racconti. Racconti elaborati, dalla fantasia dell'autore, con la sua abituale eleganza. Linguaggio forbito, il suo, ricco di richiami letterari e di personaggi mitologici che invogliano alla riscoperta di memorie spesso sopite.
Una lettura scorrevole e piacevole anche quando si raccontano le travagliate tragedie della vita. Diverse nei modi ma uguali nell'intensità del dolore. Riportate con apparente leggerezza, pur nella loro enorme gravità. Mi permetto suggerire, memore del successo del monologo teatrale de "Le figlie del sellaio" (tratto da un suo precedente lavoro), di elaborare una versione teatrale del passaggio "Le ragioni di un Processo" che si legge a conclusione del racconto intitolato a Maria di Sangiuliano. Sarebbe gradito regalo ai suoi estimatori.
Certo che per lui scrivere è più una gioia che una fatica.

Salvatore Conte
Motta Sant'Anastasia giugno 2020

Caro Pippo,
volevo dirti che ho letto i tuoi racconti, e che ne sono rimasto davvero colpito, rapito, quello centrale, “Il Barone”, ha una sua ricchezza di temi davvero impressionante, e la vicenda assume man mano toni più drammatici, sia sul piano storico, con la persecuzione degli ebrei, sia su quello
personale del protagonista, bel personaggio a tutto tondo, sino all'epilogo da tragedia greca, con qualche riflesso foscoliano. Ma anche negli altri racconti c'è un gustosissimo modo di raccontare dove non so se vedere più Verga o Sciascia, o forse nessuno dei due, perché la valenza della memoria familiare appartiene a te e soltanto a te, come si vede bene nelle pagine introduttive e in quelle finali dove il tuo rapporto con Rocca dei Normanni ha un rilievo così forte: davvero una leggenda parla di ormeggi di ferro in cima alla Rocca come approdo per antichissime navi?
È un mito bellissimo.
E come resistere alla rappresentazione delle due statue di San Giuseppe delle due diverse parrocchie che si incontrano e ballano fronteggiandosi in un cimento magico e pagano ... (una volta a Trecastagni ho assistito alla festa di Sant'Alfio, e ci ho visto qualcosa di primordiale, legato a miti antichissimi).
Dunque grazie di avermi riportato a una Sicilia per me sempre fantasticata e amata, ma senza che io vi abbia radici più consistenti di un sogno... E di averlo fatto con racconti così amabili, che ti prendono e si fanno leggere pagina dopo pagina nella loro intensità.
Complimenti, allora, e un saluto affettuoso e un abbraccio


Giuseppe Conte
(Imperia, 15 novembre 1945,
è uno scrittore, poeta, librettista,
drammaturgo, traduttore e critico letterario italiano).

Carissimo Giuseppe,
ieri ho ricevuto il tuo libro. Non sono riuscito a interrompere la lettura. Sì, tutto di un fiato. Straordinaria la tua scrittura.
Bello davvero quel filo rosso che lega tutti i racconti attorno alla tua Rocca dei Normanni!
È curioso, quel clima, quegli anni, che tu descrivi attraverso i personaggi, sono molto simili ai miei. D'altronde siamo vicini d'età e di... terra. Eravamo amici già da allora senza conoscerci. Io me ne stavo tra Scicli e Noto in quegli anni magici e avevo anch'io un nonno affabulatore.[...]


Vincenzo Fiaschitello


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QUEST'OPERA È STATA SELEZIONATA
NEL CONCORSO LIBRI DI-VERSI IN DIVERSI LIBRI
IN MEMORIA DELLA POETESSA MARIA PIA VIDO
EDIZIONE 2018-2019

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copertina Conte

Giuseppe M. Conte
Vele d’Africa
POESIE

2019, 8°, pp. 56
Libreria Editrice Urso
Collana "ARABA FENICE" n. 359, € 10,00 acquista
ISBN 978-88-6954-221-3

 

copertina Conte

Vacilla il barcone

Vacilla il barcone
sotto il peso di corpi ammucchiati.
E il mare è un urlo.
E l’onda è vorace, le creste biancastre cancelleranno ogni segno.

*

Tra santi e briganti, più di cento, sapevano
tutti di essere in tanti,
pensavano tanti di essere eterni.
Erano sogni
di libertà. Ma ora gridi agghiaccianti.
Khadra…khadra… In ism, kunya, umm, nasab
Aziz…Najat..Jalila…
Saydha… Ihsan… Bahir…
Jamilah… E sulla pelle ferite e dolori
rancori
e sputi di sangue. Altro pianto.
A maledire le stelle.
Poi il silenzio
degli abissi.

Liberi

Il destino ti colse
in un punto.
Così la morte non è materia e non è più un sogno
fu la tua libertà.
Così la morte ti fece
libero.
Anche il bambino,
l’evanescente maghrebino,
appena nato
gettato in mare dal barcone in fuga fu reso libero
dai pesi del mondo.
Dalle fatiche. Dai suoi mali a venire.

Lo chiamarono il “Bello”.
Khalil.
La nuova bellezza.
Per ciò
che era stato
già suo padre prima di lui.
Ma che ne saprà lui che nel mondo alla fine non sarà?

 

 

In “VELE d’AFRICA” è la rappresentazione – parte in versi e parte in prosa – di uno dei tanti avventurosi viaggi di popoli africani sulle carrette del mediterraneo
Al centro della silloge è la sequenza di undici stanze, una movimentazione visionaria, la tragica vicenda di Amina e Karim in angosciosa interlocuzione. Il testo che narra del sogno di due giovani protagonisti, nell’autonomia del libro, si caratterizza per le sue atmosfere surreali: una storia di amore e di morte, dove la morte non è mai vincente, non è insignificante cessazione del vivere; al contrario, è sempre celebrazione ed è consegna del più alto tributo alla continuità della vita. A trionfare su tutto, sul rischio, sulla fatica e sulle dolenti memorie, sul pianto e sulla mancata parola per ciò che si è perduto, è il divino eppur sanguigno desiderio del cambiamento, la sua forza motrice, la spinta audace volta a modificare per un miglior destino la nuda carnalità della storia.
In “Vele d’Africa” si racconta di una gente vigorosa, di giovanissimi e di bambini, di creature in solitudine, di vergini violate: tragedia di popoli che vanno con speranza al valico di frontiere difficili, verso l’Europa. Marea che monta. Gigantesca epopea del nostro tempo. Inarrestabile.

 

Un canto di dolore empatico e solidale, scevro di "complicatezze intellettualistiche" che “filma”, con brevi e penetranti “inquadrature” poetiche, sofferenze, aspirazioni, sguardi, aspettative, disperanti disillusioni... La poesia voce narrante racconta la fine del “viaggio” (tema così ricco di significati poetici) con l’infrangersi del sogno e il mare come cimitero. Il sentimento che permea i versi è lo smarrimento, l’angoscia e il senso di naufragio interiore del poeta stesso ma anche di un affondamento morale collettivo, un naufragio di coscienze, le nostre… Un brivido. Complimenti al poeta Giuseppe Conte.

Nina Esposito

Il colore blu notte intenso di questa copertina è risaltato al mio immaginario come qualcosa che sta in ombra, in oblio, con ricordi recenti di cose perdute e anche l’immagine del mare che, solitamente dà gioia e vitalità, a ben osservarla, mi ha dato una stretta al cuore con quell’infradito spaiato abbandonato lì, nella sabbia, persino le vele in lontananza non ispirano brezza e leggerezza, come sempre accade...
Ancora un poeta che giunge ad Avola da lontano, dalla Lombardia, sia pur, come leggo, di origine e formazione siciliana.
Il suo canto e il suo grido è molto vicino alla terra di Sicilia, perché nei suoi versi ascoltiamo le urla, i gemiti, i pianti, che ormai da troppo frequente si levano vicino alle sue coste, dai barconi, dalle carrette della speranza, dall’orrore durante i naufragi dei disperati in cerca di un domani che futuro non ha, di sogni, fatti di schiuma che il mare inghiotte, come un castigo immeritato, crudo e crudele.
Giuseppe Conte non è nuovo alla scrittura ed alla poesia e di sicuro sarà interessante immergersi nella sua silloge, poiché l’assaggio che ne abbiamo in “Vacilla il barcone”, fa presagire piacevoli immersioni nella sua lettura.

Mariapina Astuni

Si dice comunemente che il 17 non porti niente di buono, cerco la nuova copertina e su di essa trovo raffigurato il mare... che strano!
È calmo ma m'inquieta! Non vedo ombrelloni, non vedo bambini con paletta e secchiello prendere sabbia per costruire castelli, non vedo barche di pescatori, solo una ciabatta piantata sulla sabbia quasi a segnare un passaggio, un punto di arrivo e di noi ritorno!
Leggo scritto a caratteri cubitali, su un colore blu oceanico "VELE D'AFRICA". Ora tutto è chiaro ed il pensiero vola ai tanti barconi che toccano terra senza mai approdare, alle tante vite perse, a quelle approdate e mai completamente accolte, a quelle accolte e poi vendute, a quelle che con onore e fatica fanno ormai parte della nostra vita.
L'autore è Giuseppe M. Conte che "approda " da Legnano. "Conte" è un cognome siciliano dico, non potrebbe sentire così fortemente il mare se non avesse il mare tra le sue radici... Ah! Ecco ora vedo, è nato ed ha studiato in Sicilia! Comincio a leggere "Vacilla il barcone”.
Un nodo forte sento alla gola e penso ad un poco di anni fa quando un piccolo barcone giunse quasi a riva nel mare di Avola, quasi davanti casa mia. Era un silenzioso, tardo pomeriggio di fine estate. Sentii urla ed uno strano rumore, mi precipitai fuori insieme ad altri vicini e vidi una scena che mai avrei voluto vedere.
Forze dell'ordine e sanitari con barelle e medicamenti... un barcone sballottato dalle onde era quasi giunto a riva… sentivo il pianto di bambini.
Corremmo portando da bere pensando alle loro labbra arse e biscotti per i bambini... qualcosa di dolce per togliere un poco di tanta amarezza. Non ci fecero avvicinare ma ci sentimmo ugualmente d'aiuto, in un modo o nell'altro eravamo pronti a prestare soccorso. Penso ai miei versi di allora "Un barcone a testimonianza di anime passate, sbattuto dalle onde, muto, senza vita, ormai arenato!". Il "barcone" di Giuseppe vacilla, tanti corpi ammucchiati, più di quanti il barcone stesso possa contenere.
Il mare è un urlo, l'onda è vorace, pronta a cancellare ogni segno. Mi commuovo, sento quelle urla ed il mare calmo raffigurato sulla copertina diventa rabbioso. Avanzano onde gigantesche pronte a cancellare sogni di libertà e rinascita,sogni di una nuova vita. "Tra santi e briganti”… Tutto il mondo è paese e sono sempre i giusti a pagare per tutti. Urla e dolore, ferite e sangue... poi silenzio assoluto. È il silenzio a prestare soccorso, a rendere liberi uomini, donne e bambini, il silenzio della morte che libera "dal peso del mondo, dalle fatiche, dai mali a venire." Mai potrà scoprire Khalil la bellezza vera della vita perché gli è stato negato di vivere! Mi fermo a respirare profondamente mentre asciugo lacrime... sento dentro di me tanto dolore, come se mi appartenesse. Penso alle nostre antiche origini, penso alla storia del nostro passato, ad un passato che passato non è, vorrei gridare “Perché?” .Ora il vento sibila, sussurra un monito, entra dritto nel cuore come frecce scagliate... è alito o ira di Dio, vuole risvegliare coscienze... la coscienza di chi?
Giuro, la mia è già sveglia! Io che volevo un mondo nuovo ancora da sognare ed un mare calmo dentro cui pescare!
Complimenti Giuseppe, un tema triste, importante, attuale da trattare e tu hai saputo farlo benissimo. Sento ancora urla, sento ancora dolore ed ancora mi chiedo "dolore e morte serviranno a risvegliare coscienze?”.
Lo spero e me lo auguro per le coscienze di tutti e per un nuovo mondo.

Carmela Di Rosa

Blu come il mare la copertina di oggi... l'immensa pianura salata.

Grazia La Gatta

Incalzanti, impietose si susseguono in questi versi (terribili ma preziosi) immagini, figure sconciate, parole, grida, maledizioni, sogni precipitati nel silenzio dell'abisso. Nella ricerca della salvezza, hanno combattuto Scilla e Cariddi, maghe e ciclopi questi eroi-martiri del nostro tempo che solo nella morte (scrive il poeta) troveranno la libertà. Vorrei che si potesse riscrivere il finale di questo dramma, per loro e per noi. Ebbene questi eroi raggiungeranno la loro Itaca, oppure approderanno nell'isola dei Feaci, governata dai valori della xenìa, dove Nausicaa dalle bianche braccia li accoglierà e li inviterà nella reggia del padre. E ci saranno tutti, anche Khalil, "l'evanescente maghrebino, appena nato/gettato in mare dal barcone". Complimenti a Giuseppe Conte, che con originalità e in modo plastico ha tradotto in poesia episodi drammatici riuscendo ad aprire un varco nell'indifferenza che rischia di far affogare la nostra umanità.

Loredana Borghetto

Solo l'amore ricostruisce, unisce e non discrimina. Impariamo dai bambini a vivere senza pregiudizi e senza orgoglio (a proposito di libri e versi 😉).
Scusate se mi sono prolungata, ma su temi del genere mi infervoro.

Erica Gavazzi

 

ConteGiuseppe Conte (Marius è l’eteronimo) nasce a Motta Sant’Anastasia, studia a Catania e si laurea in Lettere Classiche con una tesi sui saggi londinesi di Ugo Foscolo. Per molti anni insegna nel Liceo “Galilei” di Legnano. Dirigente scolastico si occupa di problemi connessi con il disagio di ragazzi spastici.
Autore, in età giovanile, di testi teatrali (“Lettera a Caino”, monologo, 1956; “I figli della terra”, pièce in tre atti, 1957), indirizza successivamente i suoi interessi allo sviluppo di alcuni temi della ricerca storica e della letteratura agiografica.
Pubblica: “Mocta Sanctae Anastasiae” (una storia municipale), 1979; “Oltre le colline dei Sieli” (racconti), 1984; “Epigrafia inedita” (quasi una storia scritta nel bronzo), 1989; “La fine di una baronia” (cronache di un territorio nella valle del Simeto dal sec. XVIII al 1910), 1990; “In vita e in morte di una patrizia romana”, 1991; “I garofani in collina”, 2000; “Marbrées” (poesie), 2001; “La melagrana ossia la disegualità” (memorie), 2008; “Il sogno di Eliàde” (poesie), 2010.

 

LIBRI DI-VERSI IN DIVERSI LIBRI
LE RAGIONI
DEL NOSTRO CONCORSO

UNA SOCIETÀ DI POETI

Noi tutti, assieme a tanti altri, crediamo possibile una società di poeti e crediamo inoltre che la poesia sia fondamentale per pensare la vita e sognare un altro modo di vivere.

PREMI INUSUALI!
LIBRI...
L'editore Francesco Urso ha voluto riservare a ciascuno autore selezionato dalla Giuria il premio di una pubblicazione, impegnandosi a farlo, al momento del Bando del Concorso per un numero massimo di cento autori (Quarantaquattro sono stati, invece, gli autori risultati idonei nell'edizione 2018-2019).
Ogni pubblicazione avrà una differente grafica di copertina.
Nel contesto di questa logica esaltantante in sé la scrittura, l'editore ha voluto riservare ai primi tre poeti selezionati premi particolari (cento copie di un proprio libro al primo classificato, e omaggi di libri della Libreria Editrice Urso al secondo e terzo classificato).
In questo concorso vengono banditi attestati di carta di ogni tipo, pergamene, coppe, medaglie e trofei vari, così come vengono rigorosamente esclusi finanziamenti pubblici e sponsorizzazione estranee all'Editrice.


Si ringraziano quanti hanno con noi condiviso l'esperienza (giurati, poeti e chiunque faccia eco alla presente iniziativa).

Per saperne di più:

POESIA COME STORIA CHE SVELA,
CHE ABBATTE I MURI


Per il poeta, scrivere significa abbattere il muro dietro cui si nasconde qualcosa che è sempre stata lì. Così lo scrittore ceco Milan Kundera commentava in L’Arte del romanzo, scritto nel 1986, circa il compito gravoso, ingrato, faticoso.
Un percorso travagliato, quello del poeta, dannatamente infame, sia nel passato sia ancora oggi, nella nostra modernità liquida di origine baumaniana in cui viviamo. Il poeta si carica sulle spalle tale fardello con una leggiadria pazzoide, con un sorriso sempre pronto in faccia. È la pena (chi scrive, riconosce a cosa mi riferisco) che ciascun plasmatore di parole sa che dovrà prima o poi espiare. L’esigenza del poeta è quella di guardare dall’esterno con l’occhio della mente, di partorire un’intima concatenazione di suoni e di ritmi personalissimi che non sempre è pronta a donarsi, perché gelosamente custodita dal creatore, ma che inesorabilmente raggiunge prima o poi gli altri, portando a termine la stessa funzione della vocazione poetica: le molteplici possibilità umane. I poeti con i propri versi hanno aiutato l’uomo a riappropriarsi del proprio tempo, a distrarre la mente dalla velocità o dal correre che non aiutano affatto il pensare, ad abbattere i muri dell’ovvio, dello scontato, dell’omologazione ormai generale e universale, ma soprattutto, delle mentalità astruse che ci circondano quotidianamente.
È capitato ai poeti di ogni epoca di aver conosciuto la solitudine, fin nella terra natia, dove è quasi impossibile che si rimanga da soli come una sorta di esiliati; i nuovi mezzi di comunicazione, e soprattutto i social, hanno permesso sicuramente di accorciare le distanze, di aprire impensabili brecce su numerosi muri delle resistenze più ostili, di bypassare le terre bruciate degli invidiosi presenti in ogni luogo e contesto, di conoscere nuove anime poetiche sia ai poeti sia all’uomo comune.
Perché è grazie a tutti i 56 partecipanti di questa ottava edizione del Concorso letterario Libri di-versi in diversi libri, dedicata alla memoria della poetessa Maria Pia Vido, e di tutti i partecipanti delle sette precedenti edizioni che è stato possibile creare e ricreare quel clima di grande famiglia poetica, sparsa in tutta Italia e anche all’estero, che si ricongiunge ogni anno per esaltare la poesia in corrispondenza della giornata mondiale della Poesia.
Un’idea nata nel 2011 nella fucina culturale della Libreria Editrice Urso di Avola in cui io stesso sono nato, vissuto, cresciuto. Fin da subito, dal 2011, a fianco di mio padre, Ciccio Urso, e di mia madre, Liliana Calabrese, ho contribuito come potevo alla realizzazione: come aiuto tuttofare, come fotografo, poi nel difficile compito del giurato per un paio di edizioni, adesso come presidente di Giuria. Voglio approfittarne anche per ringraziare tutta la giuria che ha operato con grande professionalità e onestà intellettuale e morale in questa edizione e che è stata composta da: Bono Corrado, Borghetto Loredana, Calabrese Liliana, Causi Antonino, Di Rosa Carmela, Ficara Luigi, Forte Maria Antonia, Muccio Antonino, Parisi Vera, Politino Fausto, Restuccia Maria, Urso Lilia, con, in aggiunta, i poeti vincitori delle sette precedenti edizioni, Magi Manuela, Catalano Giovanni, Quartu Maria Chiara, Vizzini Pietro, Esposito Nina, Carlo Sorgia e Liliana Moreal.
Un evento poetico che, anno dopo anno, aggiunge nuove e indelebili emozioni in tutti i nostri cuori, che permette di (ri)scrivere e svelare nuove e bellissime storie di poesia.


Marco Urso
Presidente della Giuria

Giuseppe M. Conte, La melagrana ossia la disegualità
2008, 8°, pp. 144, 13,00

Libreria Editrice Urso, Collana Mneme n. 24
ISBN 978-88-96071-07-6
13,00
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Antologia di versi in vernacolo mottese e di prose sul tema del “diverso” e del “variabile"
L’intera scrittura si propone come riflessione e come omaggio all’idea di libertà.
Copertina Conte


[...] Che dirò ancora de “La melagrana”? La parte più esposta al rischio di un generico rifiuto è forse quella che riunisce versi in lingua dialettale, una sorta di poemetto o – più precisamente – un’antologia di sparsi componimenti in vernacolo mottese, con spunti assai vicini allo spirito e ai modelli della tradizione poetica siciliana. E il rischio consiste nella specificità di quel linguaggio. Come nacque l’idea di questa raccolta ? E dove e perché si concepì un tale disegno? E da chi si volle proporre una così discutibile letteratura?
    Accadde in Sicilia, nell’estate del ’79. E fu il risultato di una mia partecipazione a uno specialissimo concorso. Meglio si definirebbe  partecipazione a un “certamen”, a una di quelle gare poetiche che mai si concludevano con un trionfo finale ossia con l’assegnazione di una vittoria garantita da una riconosciuta autorità. Nelle intenzioni e nei procedimenti quel cimento fu operazione assai simile a quelle disfide popolari che una volta – tra Ottocento e Novecento – avevano caratterizzato il costume della periferia catanese, quelle gare che si generavano tra improvvisati poeti nelle piazze dei paesi e nelle taverne del suburbio, per assicurarsi il premio di un bicchiere di vino e con un pubblico vociante e istigatore. Quando ciò avveniva, attorno ai “maestri” duellanti si adunavano uditori curiosi e giovani “allievi” amanti della poesia. Quando poi a sera il conflitto cessava, di quell’evento e dei protagonisti che l’avevano sostenuto sopravvivevano l’enfasi della lode e la speranza della pubblica memoria.
    Ora, certamente in condizioni storiche totalmente diverse ma con non dissimile impegno delle parti, questo accadde ad alcuni di noi – a me e ad alcuni miei amici – che, già cultori esploratori di “intelligenze” municipali e consapevoli della novità cui andavamo incontro, trovammo interessante produrci in una sequenza di improvvisazioni, di schermaglie in versi e libere fantasie e ghirigori e movenze della parola e drappeggi baroccheggianti del pensiero in erratico inarrestabile svolgimento. Tutto, allora, nel volgere di alcuni mesi si tradusse in una sorta di gioco, quasi una trama musicale di variazioni sul tema, un duello alle lame affilate dei suoni, della voce e dell’immaginazione. E fu il “divertissement” di un ristretto numero di persone, legate tra loro da vincoli di benevolenza e di reciproca stima. Così io oggi credo che si possa spiegare la genesi del libro.
*
    Oggi quell’esperimento, che fu pur piccolo e provinciale e di breve durata, potrebbe fornire elementi di giudizio per una questione parallela a quella letteraria. Fu, infatti, l’espressione di un modello di società che, fatta inquieta dalle turbolenze del tempo e dalla tragica congiuntura di eventi criminosi (dall’uccisione del commissario Calabresi all’assassinio di Aldo Moro), andava ricercando un rifugio ideale e tentava alcune vie di uscita che fossero più confortanti e rassicuranti. Fu, quella, una stagione di rapidi quanto profondi cambiamenti nel costume, nei linguaggi pubblici e privati, nella qualità dei rapporti generazionali tra i ragazzi e i loro padri “matusa”. Fu l’età del Jesus Christ Superstar e del Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli, documenti spettacolari che facevano capo a una diffusa esigenza di revisionismo della cultura. Ma fu anche l’epoca nella quale l’uomo comune si vide d’un colpo privato di tutte le sue certezze, si vide nudo davanti alla storia e si rese conto di essere impotente a reggere il flusso continuo delle innovazioni. Ciò apparve palese nel rapido svezzamento di mode assai passeggere e nell’esercizio della più fluida inventiva; ma in tono più celato si rivelò anche nel bisogno di affetti autentici, nel ritorno al culto della campagna, nella creazione di cenacoli e sodalizi chiusi e riservati. Perciò, mentre da un lato si prospettavano gigantesche messianiche attese negli sviluppi della storia, dall’altra all’interno della coscienza individuale venivano affiorando diverse e concrete urgenze di pacificazione.
    In ultima analisi, se lo si considera in tale prospettiva, questo libretto potrebbe essere considerato una piccola testimonianza e – perché no? – proporsi al giovane lettore di oggi come pagina documentaria degli svariati e certamente discutibili interessi di un’epoca.

*

    Amico mio! Se, un giorno, questo libretto ti accadrà di vederlo esposto nelle vetrina di un libraio o di vederlo ciondolare tra le mani di un tuo conoscente, non darti fretta, fermati un po’, chiedi notizia e mostrati interessato. Per ciò che ti ho detto non potresti più far finta di niente, come colui che passa e non sa. Tu invece, ora sai di che materia è fatto e di quali aromi e di quali sapori si impregna il nostro vino. Perché, dunque, volertene privare? Perché non accostarti con curiosità al nostro calice? Scriveva un antico saggio: E Diodoro addormentò quel Satiro, ma non volle scolpirlo. Se tu ora lo tocchi, tintinna e si sveglia. Il suo sonno è d’argento. Così parlava Platone.
    Perciò, usa pazienza. Non fare come il pollastro di letteraria memoria che, ruspando per la via, cercava affannosamente il becchime, quell’unica cosa, la sola cosa che giovava al suo stile di vita, e scartava le perle brillanti che non gli servivano affatto.
    Se cerchi unicamente cose che ti siano utili e per tua entropia rifuggi da quelle che nulla ti danno, io stesso ti dirò: passa più oltre e prova a raggiungere il mercato più grosso. Intendo il mercato di frutta e verdure e di carne e di altre cose pastose, gustose e consimili. Sicuramente ti piaceranno, ti gioveranno, te ne sazierai e sicuramente ne  uscirai più forte e rubizzo. Il resto non conta.
Dici che la testa non conta? Vorresti dire che la testa non conta?
La testa??? Meno che mai.

Giuseppe Conte (Marius è l’eteronimo) nasce nel 1936 a Motta S. Anastasia nella provincia di Catania. Si laurea in lettere classiche con una tesi sui saggi londinesi di Ugo Foscolo e, per numerosi anni insegna Lingua e Letteratura italiana e latina nei licei milanesi. Collabora alternativamente con l’Università Cattolica di Milano nel Dipartimento di Scienze politiche. Dopo i primi esperimenti giovanili tra la saggistica (Lettera a Caino, 1956) e il teatro (I figli della terra, dramma in tre atti, 1957), nel 1979 pubblica Mocta Sanctae Anastasiae (cronache di un villaggio nei secoli XIV e XV). Seguono Oltre le colline dei Sieli (racconti, 1984), Epigrafia inedita (1989), La fine di una baronia (1990), In vita e in morte di una patrizia romana (1991), I garofani in collina (2000), Marbrées (2001, raccolta di poesie in quattro sezioni).

Spettacolo di Alessandro Conte, in cantiere per Milano, Legnano e Monza
Trattasi di un monologo della durata di un'ora e trenta minuti e di forte, toccante e intensa drammaticità.
Nato all'interno della tradizione letteraria siciliana, il lavoro è stato innovato e rielaborato in forme e linguaggio, fino a divenire un prodotto che ha radici profonde e al tempo stesso è di inquietante attualità.

LE FIGLIE DEL SELLAIO
di e con Alessandro Conte

Liberamente tratto dalla silloge
“Oltre le colline dei Sieli” di Giuseppe Conte Premio Nazionale di Narrativa (Piacenza, 1982)

Spettacolo di Alessandro Conte, in cantiere per Milano, Legnano e Monza
Trattasi di un monologo della durata di un'ora e trenta minuti e di forte, toccante e intensa drammaticità.
Nato all'interno della tradizione letteraria siciliana, il lavoro è stato innovato e rielaborato in forme e linguaggio, fino a divenire un prodotto che ha radici profonde e al tempo stesso è di inquietante attualità

L’operazione drammaturgica che Alessandro Conte propone al pubblico è un percorso innovativo dell’opera originaria, una “contaminazione” teatrale che ci restituisce il clima di un’epoca, il sapore di una civiltà e un’accattivante quanto conturbante concezione della vita e della morte che caratterizza tanta parte della letteratura siciliana. Nel riprendere l’opera del padre, ne rielabora una poetica sintesi, ne ridisegna la scrittura e - con un proprio taglio interpretativo - illumina le storie e le passioni dei protagonisti, la loro soggettività e la loro coralità. Risultato è un nuovo documento dove il microcosmo della “piccola comune” può essere percepito come più dilatata metafora del mondo. Don Mario, il vecchio novellatore che ci insegna il piacere di attendere e di raccontare; compare Alfio, il sellaio, schiacciato dagli eventi della sua famiglia e tuttavia guidato da un suo sotterraneo bisogno di riscatto e di redenzione; Nastàsi, il giovane che nella sua esistenziale negatività mette in discussione gli antichi dilemmi del vivere; Nunzia che con la sua proposta di coraggiosa maternità è ambasciatrice di nuovi destini per il mondo.
E poi c’è Savina, con la sua tenace innocente obbedienza alle regole del villaggio.
La tenebrosa pazzia di Sara. La tragedia di Pietro Maccarese. Il sogno della bellissima Nice. La generosità di Rosina. Questi ed altri ancora i personaggi che danno vita alla pièce teatrale e che, in quella realtà, offrono all’attore-drammaturgo l’occasione di ritagliarsi uno spazio del tutto personale, di inventare per sé stesso un piano narrativo che è una sua indubbia creazione: ed è il ruolo del cantastorie, il giovane novellatore che dalle fonti del passato cattura amore bellezza e dolore e li ripropone per un futuribile nuovo inno alla vita. Personaggio anche lui che si colloca all’interno delle vicende narrate, potendo ripetere con il padre: “...Ed io seguo quel teatro di luci con religioso abbandono: io superstite fabbro, solitario monarca, giullare di un minutissimo cosmo che conteso persino alla memoria non esiste più”.
Mondo che più non esiste, eppure fatalmente si rigenera e rinnovandosi ci sopravvive.

Drammaturgia e interpretazione: Alessandro Conte
Tecnico luci e audio: Nicola Accordino
Direzione amministrativa: Gregory Bonalumi
Organizzazione: Valentina Paiano
Produzione: La Danza Immobile
Sostenitori: Corrado Accordino, Paolo Bignamini, Carlo Grassi
Ringraziamenti: Alicia Mañas, Paolo Airaghi, Cristina Ferrè, Angelo Platania

“Le figlie del sellaio” nasce dal profondo desiderio di scrutare e approfondire, attraverso la mia immaginazione, un microcosmo siciliano a me non del tutto ignoto. Quel microcosmo che mio padre ha offerto inconsapevolmente alla crescita, alla sensibilità e all’attenzione di un figlio che ancora non aveva dieci anni.
Ero un ragazzino infatti quando per la prima volta leggevo delle vicende di uomini e donne di una piccola comune che il loro autore aveva “sognato e dissepolto sotto un ulivo vecchissimo… Senza posa sopra i precipizi di una rocca venivano pellegrinando i sopravvissuti… Pregavano, ridevano, cantavano solo per non lasciarsi completamente spegnere dal vento…”
Così scrive nella sua introduzione Giuseppe Conte. Ed io “giullare” per mestiere e per vocazione non potevo non ascoltare le voci di quei personaggi come una preghiera, come un mediato desiderio di esistere ancora.
L’indagine sul linguaggio, l’importanza della memoria, lo sguardo sul mondo dei vizi e delle virtù umane, il miracolo del raccontare che risveglia dalla morte, il legame affettivo e viscerale con una terra che da sempre sento appartenermi, la ricerca delle radici, forse anche di una vera casa. Queste le altre ragioni dell’impegno da me preso nello svolgere una ricerca che vuole avere anzitutto il carattere di un racconto dove ci si possa seppellire il cuore. Dove la storia di una difficile e coraggiosa maternità possa davvero diventare un inno alla vita.

MILANO

Dal 17 al 22 marzo 2009
Teatro Filodrammatici
P.zza P. Ferrari 6
Biglietteria: 02 36595671
www.teatrofilodrammatici.com

LEGNANO

24 marzo 2009
Teatro Sala Ratti
C.so Magenta 9
Biglietteria: 0331 892929
www.scenaperta.org

MONZA

Dal 16 al 19 aprile 2009
Teatro Binario 7
Via Turati 8
Biglietteria: 039 2027002
www.teatrobinario7.it

Alessandro Conte

ALESSANDRO CONTE

Diplomato all’Accademia dei Filodrammatici di Milano. Dal 1994 inizia il suo percorso artistico come interprete: Risveglio di primavera di F. Wedekind e I ritorni dalle tragedie di Euripide (regia di Guido de Monticelli); Gli indifferenti di A. Moravia (diretto da Claudio Beccari), Romeo e Giulietta e Antonio e Cleopatra di W. Shakespeare per la regia di Lamberto Puggelli. Letture di brani dell’Iliade per conto della facoltà di lettere dell’Università Statale di Milano. Interpreta I demoni e Delitto e castigo di F. Dostoevskij, La cosmetica di Amelie di A. Nothomb per la regia di Corrado Accordino. Realizza in monologo L’ultimo giorno di un condannato a morte di Victor Hugo. Partecipa a programmi televisivi e svolge attività di doppiaggio per la radio e il cinema.
Contatto: alessandroconte71@gmail.com

Copertina Conte

Giuseppe M. Conte, La melagrana ossia la disegualità
2008, 8°, pp. 144, 13,00

Libreria Editrice Urso, Collana Mneme n. 24
ISBN 978-88-96071-07-6,
13,00acquista


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cuda – copertina
Collana MNEMEacquistaMneme, Mnemòsine (… diva del cor maestra e della mente // e del caro pensiero custode e madre. Monti, Musogonia, 25 e segg.), la ricordanza, la memoria in lotta perenne nel nostro tempo, tra il dimenticare di ricordare e il ricordare di non dimenticare, mai.

  1. Giovanni Stella, Le Sirene e l’Isola, 1998, 8°, pp. 104, 13,00 – ISBN 978-88-6954-100-1
  2. Sebastiano Burgaretta, I fatti di Avola, 2008, 8°, pp. 142, 15,00ISBN 978-88-96071-08-3
  3. Antonino Caldarella, Santa Venera, 1983, 8°, pp. 120 – Esaurito
  4. Giuseppe Schirinà, La chiusa di Carlo, 1984, 8°, pp. 288,  12,00 – ISBN 978-88-6954-198-8
  5. Giuseppe Schirinà, Antinferno, 1989, 8°, pp. 160, 10,00
  6. Sebastiano Burgaretta, L’opera dell’uomo a Cava Grande del Cassibile, 1992, 8°, pp. 240, ill.,  25,00 – ISBN 978-88-96071-31-1
  7. Giovanni Stella, Sicilia terra mia, 1995, 4°, pp. 8 – Esaurito
  8. Giuseppe Schirinà, Nina, 1996, 8°, pp. 154,  13,00 – ISBN 978-88-6954-200-8
  9. Giovanni Stella, Gesualdo Bufalino vivo, 1996, 8°, pp. 11 – Esaurito
  10. Carmelo Giannone, Bbummi su…nun ti scantàri, 2000, 8°, pp. 128, ill.
  11. Sebastiano Burgaretta, Di Spagna e di Sicilia, 2001, 8°, pp. 208,  14,00 – ISBN 978-88-6954-099-8
  12. Giovanni Stella, Amici cari, 2000, 8°, pp. 120, ill.  13,00 – ISBN 978-88-6954-103-2
  13. Sebastiano Martorana, Ricordi di un tempo che fu, 2000, 8º, pp. 120 – Esaurito
  14. Nello Lupo, Don Lorenzo Milani prete e maestro, 2001, 8º, pp. 208, ill. – Esaurito
  15. Giovanni Stella, Il rigattiere e l'avventore, 2002, 8°, pp. 192, 13,00 – ISBN 978-88-6954-102-5
  16. Benito Marziano, Don Agostino Salvìa e altri racconti, 2002, 8°, pp. 112 – Esaurito
  17. Salvatore Di Pietro, I perché del nostro dialetto. Storia linguistica e sociale della Sicilia, 2006, 8°, pp. 208,18,00 – ISBN 978-88-98381-93-7
  18. Italico L. Troja, Alessandro Patti. Un esiliato di Weimar che perdette il suo cuore ad Heidelberg, 2007, 8°, pp. 80, € 12,00 – ISBN 978-88-6954-197-1
  19. Fernando Buscemi, Storia della Rebetika, 2006, 8°, pp. 128 – Esaurito
  20. AA.VV., Da Versi a Nina. Note di critica letteraria, 2006, 8°, pp. 164, 10,00 – ISBN 978-88-6954-199-5
  21. Salvatore Di Pietro, Nella valle dell’ozio – Racconti, 2008, 8°, pp. 176, 13,00ISBN 978-88-98381-93-7
  22. Italico L. Troja, La mia “prima etade”, 2010, 8°, 15,00 – ISBN 978-88-96071-23-6
  23. Corrado Zuppardo, Memoriale di un siciliano emigrato a Milano, 2010, 16°, pp. 96, 9,00 – ISBN 978-88-96071-28-1
  24. Giuseppe Conte, La melagrana ossia la disegualità, 2008, 8°, pp. 144, € 13,00 – ISBN 978-88-96071-07-6
  25. Benito Marziano, Juliette cara – Romanzo, 2009, 8°, pp. 160 – ISBN 978-88-96071-10-6 – Esaurito
  26. Cetty Stella, Dalla città reale alla città ideale – La città di Avola dopo il terremoto del 1693, 2016, 8°, pp. 48, 9,00 – ISBN 978-88-6954-107-0
  27. Nino Muccio, L'Ammiraglio e l'America, 2008, 8°, pp. 368, 25,00 – ISBN 978-88-96071-09-0
  28. Vincenzo Fiaschitello, Lo strano caso dell’abbazia e altri racconti, 2017, 8°, pp. 112, 13,00 – ISBN 978-88-6954-148-3
  29. Fulvio Maiello, Il crepuscolo della nobiltà, 2010, 8°, pp. 128, 13,00 – ISBN 978-88-96071-26-7
  30. Salvatore Salemi, La vita e l'opera di Teocrito Di Giorgio, 2017, 8°, pp. 80, 10,00 – ISBN 978-88-6954-147-6
  31. Giovanni Manna, Ombre di felici2016à, 2011, 8°, pp. 112, 12,00 – ISBN 978-88-96071-42-7
  32. Mauro Giarrizzo, La legislazione scolastica nel Regno d'Italia e la situazione nella provincia di Noto, 2011, 8°, pp. 200, 18,00 – ISBN 978-88-96071-32-8
  33. Autori Vari, Antologia Inchiostro e Anima 2010/2011 – Poesia, Teatro, Cinema in memoria di Antonio Caldarella, 2011, 8°, pp. 152 – ISBN 978-88-96071-02-1 – Esaurito
  34. Giuseppe Aloisi, Memorie di un navigante, 2010, 8°, pp. 152, ill., 13,00 – ISBN 978-88-96071-35-9
  35. Benito Marziano, Randagi – Sei racconti, 2011, 8°, pp. 88 – ISBN 978-88-96071-52-6 – Esaurito
  36. Giovanni Gangemi, Il papiro di Akhenaton, 2011, 8°, pp. 360, 25,00 – ISBN 978-88-96071-55-7
  37. Salvatore Di Pietro, Il cancello chiuso (Ingresso libero), 2012, 8°, pp. 80, 10,00 – ISBN 978-88-96071-92-2
  38. Enza Fiaschitello – Corrado Leone, Parrannu parrannu..., 2013, 8°, pp. 272, € 20,00 – ISBN 978-88-96071-94-6
  39. Eleonora Nicolaci, La famiglia Nicolaci di Noto (secc. XVI-XVIII), 2013, 8°, pp. 120, 12,00 – ISBN 978-88-98381-43-2
  40. Paolo Dipietro, Vampugghi (Piccole storie di periferia), 2013, 8°, pp. 120, € 12,00 – ISBN 978-88-98381-42-5
  41. Antonella Santoro, Azzurro, come i suoi occhi, 2014, pag. 108, € 10,00 – ISBN 978-88-98381-45-6
  42. Sebastiano Cugno, 1953-2013: sessant'anni di cinema a Noto – Analisi dei rapporti tra la capitale netina e il cinema, 2014, 8°, pp. 204, € 18,00, ill. – ISBN 978-88-98381-46-3
  43. Salvatore Di Pietro, Viaggi da fermo, 2014, 16°, pp. 250, € 12,00, ill. – ISBN 978-88-98381-98-2
  44. Corrado Morale, Miluzza – Trimau la terra, 2014, 8°, pp. 310, € 18,00, ISBN 978-88-98381-99-9 – Esaurito
  45. Carmelo Dugo, Uno scorcio della nostra e della mia storia – Due anni di vita in Istria – 1943-1945, 2014, 8°, pp. 80, € 9,00 – ISBN 978-88-6954-000-4
  46. Veronica Sciacca, La cripta degli scheletri, 2016, 8°, pp. 94, € 11,00 – ISBN 978-88-6954-105-6
  47. Maria Suma, Piena di grazie – Quell'indimenticabile 10 luglio 1943 (Racconto), 2016, 16°, pp. 56, € 8,00 – ISBN 978-88-6954-106-3
  48. Corrado Morale, Il segreto della Badia, 2016, 8°, pp. 328, € 19,00 – ISBN 978-88-6954-109-4
  49. Corrado Carbè, Compagni di viaggio (Racconti), 2017, 8°, pp. 136, € 13,00 – ISBN 978-88-6954-149-0
  50. Vincenzo Fiaschitello, Racconti attorno al Mediterraneo e anche oltre, 2017, 8°, pp. 136, 13,00 – ISBN 978-88-6954-151-3
  51. Di Giorgio Teocrito, Le manette (Dramma in tre atti), a cura di Maria Suma, 2018, 8°, pp. 56, 10,00 – ISBN 978-88-6954-189-6
  52. Vincenzo Fiaschitello, La costola di Adamo e racconti vari, 2018, 8°, pp. 150, 14,00 – ISBN 978-88-6954-190-2
  53. novitàBaldassare Cuda, Avola da casale a città – I banni baronali, 2018, 8°, pp. 208, 18,00 – ISBN 978-88-6954-192-6
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